24 maggio 2006

Di nuovo sui laureati

E' online "Catastrofica università", l'articolo di Pietro Citati di cui parlavo ieri. Oltre alla pars destruens, dove Citati critica l'università di massa, vale la pena di leggere la pars construens, dove Citati propone una soluzione brillante: ridurre le aule a 30 persone e alleggerire i carichi didattici dei docenti.

Una recente circolare del Ministro Moratti prescrive che i professori universitari devono fare almeno centoventi ore annue di lezioni frontali. C'è di nuovo, almeno per me, la difficoltà di capire. Cos'è una lezione frontale? Secondo i dizionari, frontale vuol dire: relativo alla fronte come parte anatomica: con la fronte rivolta verso chi osserva: visto di fronte [..., qui altre nove definizioni, nda]. Infine, quasi spossato dalla fatica ermeneutica, trovai nel Dizionario della lingua italiana di Tullio De Mauro (Paravia) la spiegazione giusta: frontale è un metodo di insegnamento, nel quale il professore siede in cattedra, di fronte ai suoi allievi. Non amo molto l'insegnamento frontale: può essere agevolmente sostituito dalla lettura di un buon libro.

La vera lezione, sebbene rivolta a non più di trenta studenti, è il cosiddetto seminario: soltanto nel seminario, compiuto in comune, il professore insegna agli studenti a leggere un testo, cercando insieme a loro le fonti e le allusioni e interpretandone le superfici e i segreti. Ma centoventi ore annuali di insegnamento frontale sono troppe: un vero professore deve leggere e studiare per conto proprio; ciò che esige infinito tempo e pazienza.

Come è facile trovare soluzioni se si ignorano i vincoli sulle risorse.

Nei commenti al post di ieri, B.Georg segnala un articolo di Repubblica.it sullo stato dell'università italiana. Vi emerge che:

  • la soddisfazione dei laureati triennali è bassa (bassissima se si parla del rapporto coi docenti);

  • circa i tre quarti dei laureati triennali continua con un biennio o altri corsi post-laurea; ciò non realizza gli obiettivi della riforma, che voleva creare un'offerta ampia di laureati giovani pronti per il mercato del lavoro;

  • è scesa l'età media dei laureati, ma in gran parte solo a causa della durata più breve dei corsi di laurea.

A differenza di Citati, evito di lanciarmi in soluzioni e auguro buon lavoro a Fabio Mussi, nuovo ministro dell'Università e della Ricerca.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

c'è da dire che col sistema attuale, i laureati che fanno il tre più due usciranno comunque più giovani della media di quelli che prima facevano il quattro (finendo in realtà fuoricorso con percentuali bulgare..)

(e poi gli studenti si lamentano sempre...)

:))

Anonimo ha detto...

C'e' qualcuno che puo' spiegarmi quali sono i titoli per Mussi a svolgere il ruolo di ministro dell'Universita' a parte essere in quota DS? (ho votato centrosinistra)

Anonimo ha detto...

anonimo, vorrei circostanziare la tua obiezione.
un ministro non deve essere necessariamente un superesperto o supertecnico della materia di cui è ministro. Ovviamente deve conoscere bene i problemi e gli indirizzi di azione che il governo di cui è parte intende portare avanti in quella materia (cosa che a livello di politici professionisti è il minimo che di debba pretendere) e avere il peso politico per portarli avanti (a volte anche in competizione con altri ministeri per accaparrarsi le risorse finanziarie). Le soluzioni tecnico-normative sono preparate da schiere di tecnici e consulenti in genere di origine universitaria che affiancano ogni ministero.

il ruolo del ministro quindi è eminentemente politico: quasi sempre ministri "politici" ottengono più di ministri tecnici, perché sanno come ci si muove nell'amministrazione dello stato.

L'appunto - a mio parere un filo prematuro - che si potrebbe fare alla scelta di Mussi, quindi, non è quali titoli egli abbia per occuparsi di università, ma perché si sia scelto un "politico" non di prima fascia per un problema che è di prima fascia (Mussi ha certo un ruolo rilevante nei DS, ma nella minoranza, e non si è mai distinto per particolare abilità politica - anzi, nel gruppo dei cinquantenni - d'alema-fassino-veltroniecc - è forse uno dei più scarsi)

Anonimo ha detto...

Vi ho dedicato un post.

Anonimo ha detto...

Io non ho nessuna stima di questa riforma.
Oggi noi chiamiamo laureati delle persone che non hanno, e non possono avere, la stessa preparazione dei laureati del vecchio ordinamento. Abbiamo usato un nome vecchio per descrivere una figura nuova. Il laureato di oggi NON è paragonabile al laureato di ieri: è l'eterno "todos caballeros" all'italiana.

In questo mercato globale non ha nessuna importanza il numero di laureati in una nazione, conta il livello di preparazione e la disciplina oggetto di studi. Per ottenere questi "brillanti" risultati si sono abbassati i requisiti. Oggi una laurea triennale è alla portata di tutti, e con tutti intendo proprio tutti, nessuno escluso: ma non è più una discriminante, è solo un titolo legale. Preferivo il vecchio sistema, quando per legge si cambiavano i requisiti per accedere a certi "posti".

E' finita come sempre finisce quando in italia si fa retorica. Coloro che possono continueranno gli studi con i master veri, quelli fatti nei posti giusti, e saranno la prrima scelta. La massa di chi non può, perchè prendere un master è più costoso che non una laurea di vecchio tipo, resterà indietro. Questi laureati sono ne più ne meno i diplomati di qualche decennio fa. Carne da clientela, pubblica e privata, punto e basta.

Anonimo ha detto...

uhm
non credo esistano ancora dati sulle competenze di un neolaureato italiano. Sono ricerche qualitative complesse, so che ci sono dati abbastanza recenti sulla media superiore, ma non me ne risultano altri. Quindi, questo giudizio catastrofico e un poco manieristico, a cosa si deve?

Ci sono dati invece sull'abbandono del sistema precedente (colossale) e sulla media dei laureati fuoricorso (imbarazzante), e anche sulla qualità media dei laureati (sì, decente, ma qualcuno ha dati sulla preparazione dei 3+2? Sarà davvero così diversa?).
O vogliamo parlare dell'assenteismo dei docenti, o della trascuratezza della ricerca - anche quella che non costa ninte, consistente nel preparare corsi nuovi invece che fotocopiare quelli vecchi)?
Secondo me, non è che sia roprio difendibile3 il vecchio sistema.

Credo che esistano anche buoni dati qualitativi sulla preparazione media dei laureati americani (intendo pre-master), che sono in proporzione moltissimi rispetto all'italia - alla faccia del "il numero non ha importanza" - e non è poi così drammaticamente superiore a quella dei nostri migliori liceali.
Per dire, mi pare che gli usa nel mercato globale contino qualcosa.

Anonimo ha detto...

B.georg guarda che basta leggere i programmi per e post; non sono uguali. Se tu prendi i stessi esami (esempio, istituzioni di diritto privato) noterai delle differenze consistenti. I stessi laureati 3+2 non posso essere a livello dei vecchi laureati, perche il bienno finale non riesce a surrogare le assenze del trienno iniziale. Purtroppo questo l'ho potuto constatare più volte e in prima persona.

Il vecchio sistema non è difendibile, e difatti non mi passa neppure per la testa di farlo. Figuararsi, ne conosco non pochi di ragazzi meritevoli che hanno dovuto, e sottolineo dovuto, abbandonare. Dico solo che il nuovo non ha risolto un bel nulla, semmai ha peggiorato. Perchè il laureato di ieri è -opinione personale- diventato il "masterizzato" di oggi, con il particolare che i master costano e non poco.

Il punto è che una riforma seria avrebbe dovuto colpire fortemente gli interessi dei professori universitari, è tu sai i costi politici di un simile passo!

Il sistema americano mi sembra diverso da quello italiano. Paragoni li vedo difficili ma, correggimi se sbaglio, stai forse proponendo anche tu l'abolizione del valore legale della laurea, come in america? Interessante e condivisibile.

Ti ringrazio per il manieristico ma, ahimè, temo di non possedere una "una notevole padronanza dei mezzi espressivi talvolta sfociante in un eccesso di retorica ed eloquenza".

Anonimo ha detto...

- be', che i programmi siano diversi mi pare ovvio, è nella premessa, se no che l'hanno fatta a fare la riforma? (conta invece se hanno ottenuto i risultati che si prefiggevano). E che la laurea triennale sia un'altra roba, è pure ovvio.
Per il resto, rispetto la tua impressione sulla distanza tra 3+2 completo e vecchie lauree, ma preferirei dati un po' più certi :)

sennò, io dico che parlando con un sacco di vecchi laureati mi sono reso conto più volte di essere di fronte a dei bruti rivestiti e illetterati: perché la mia impressione dovrebbe valere meno della tua?

- siamo d'accordo sui professori

- vero, il sistema americano è tutto diverso (anche prima dell'università c'è molta meno stratificazione degli indirizzi, come si dice in sociologhese): io volevo solo dire che avere una preparazione media finale dei laureati di primo livello simile agli usa (cioè molto più bassa dei nostri vecchi laureati) e un numero di laureati molto alto, non fa precipitare di colpo nel baratro ignomignoso della serie B dell'economia - proprio perché i problemi sono un pochino più complessi.

- sul valore legale, non mi sono ancora fatto un'idea (ma l'argomento di zingales - vedi post sotto - in italia funziona molto meno che negli usa, perché non c'è qui la differenza di qualità tra atenei che c'è negli usa)

- manieristico nel senso che vi si rintraccia una maniera, un atteggiamento, un po' di micheleserra style, insomma ;-) (era affettuoso)

Anonimo ha detto...

Osservazioni sparse (senza rivolgermi in particolare all'uno o all'altro).
a) Il numero conta: avere in un paese 10.000 ingegneri informatici o averne 100.000 fa differenza (lo stesso vale, caso per caso, per tante altre lauree).
b) Alcuni eccellenti laureati quadriennali di una volta erano in realtà eccellenti diplomati: si facevano al liceo basi e cultura su cui poi l'università edificava non molto; secondo me, è la scuola che adesso è peggiorata, non l'università.
c) Il problema è che, in realtà, una volta la scuola era meglio di quanto era ragionevole che fosse: per le donne l'insegnamento era quasi l'unica professione ammessa; gli studenti si ritrovano in cattedra donne motivate e brillanti che oggi, giustamente, lavorano altrove.
d) La produttività dei docenti universitari italiani è ridicola (non servono dati).
e) La Moratti sembrava preoccupata di far lavorare i ricercatori. Se uno conosce l'università italiana, sa bene che sono altri i tipi di docente che non lavorano.