06 febbraio 2006

Assertivi o no?

Nei commenti, Guido mi dice che, non per colpa loro, i musulmani mancano dei rimandi intellettuali e della tolleranza per prendere alla leggera l'umorismo sulla religione.

Qui, mi sembra, Guido tocca un problema serio: come ci si comporta con chi non è pronto a capire e tollerare?

Provo a rispondere. Immaginate di avere un figlio piccolo. E' domenica. Per un buon motivo decidete che oggi, al contrario di domenica scorsa, non lo porterete al cinema. Il bambino, che già pregustava l'uscita, reagisce piangendo, strepitando, buttandosi per terra. Non la finisce più.

Che fate?

Una possibilità è cedere. Pur di farlo smettere, tornate sui vostri passi e annunciate che, va bene, per questa volta lo porterete al cinema. Domenica prossima però no, eh!

Un'altra possibilità è fare il genitore assertivo e dire: "Basta piangere! Tu sei il bambino e io sono il papà. Io so quando si va al cinema e quando no. Oggi staremo a casa, perciò vedi di smetterla". E lasciarlo piangere quanto serve perché smetta.

Per inciso, a me sarebbe piaciuto ascoltare le stesse parole dagli intellettuali italiani. "Basta strepiti! I nostri paesi hanno una storia. Sappiamo la differenza fra società autoritarie e società aperte. E preferiamo le seconde. Abbiamo assaggiato sulla nostra pelle i costi della censura e dell'assenza di libertà. Continueremo a dire ciò che pensiamo, sulla religione, sul terrorismo e su qualunque altra cosa. Perciò, vedete di smetterla".

Non che io creda che i musulmani siano bambini. Quelli che bruciano le ambasciate mi sembrano uomini adulti. E quelli che li incoraggiano a farlo sono spesso anziani.

Ma Umberto Galimberti, nell'articolo di oggi che citavo qui sotto, ricorre alla metafora vichiana, quella delle civiltà che crescono per stadi. Dice: "Prima con le Crociate e poi con l'Inquisizione ci comportavamo esattamente come si comportano con noi i musulmani. I processi storici sono lenti... Vogliamo lasciare anche ai musulmani il loro tempo?". Ciò è come dire che, se i musulmani non sono bambini, comunque noi siamo più cresciuti di loro. O, come dice Guido, che hanno bisogno di "un percorso di emancipazione".

Benissimo, sia come dicono Galimberti e Guido. Che vogliamo fare, dunque, coi musulmani intolleranti? Il genitore o, se preferite, il fratello maggiore assertivo? Oppure il genitore che sbuffa e dice: "va bene, usciamo, ti porto al cinema"?

15 commenti:

Anonimo ha detto...

Angelita, ovviamente il "femminucce" (post precedente) era voluto... Il titolo del post ha dato fastidio anche a me (et pour cause). Ma a proposito di cose gaye, vi raccomando questo: http://www.mightymcpilgrim.com/films/brokemac/ (segnalato da Tom, http://www.tom-online.it/).

Sulle vignette: per una volta mi sono trovato d'accordo con una parte di ciò che dice Eco (http://multimedia.repubblica.it/home/112913), e con molto di ciò che dice Lerner a Fahrenheit(http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/mostra_evento.cfm?Q_EV_ID=162925). C'è stato un chiaro processo di strumentalizzazione dell'evento da parte di forze del mondo islamico. Dunque l'evento va compreso in un quadro più vasto.

Anonimo ha detto...

Tommaso, mi spiace, non mi è passato neanche per la famosa anticamera del cervello che qualcuno potesse offendersi. E' un'espressione che uso spesso, senza pensare al significato di partenza. A questo punto mi chiedo quanta gente avrò offeso senza saperlo. Non avevo capito il tuo rilievo perché "femminuccia" non mi ha mai fatto né caldo né freddo.

Anonimo ha detto...

La satira a sfondo religioso è un po' più antica di quel che dice Galimberti: la praticava già Aristofane, che in una sua commedia dipinge Zeus come un volgare tenutario di bordelli (e non bisogna dimenticare che ad Atene Aristofane non era il solo a praticarla: noi ci ricordiamo di lui perché era uno scrittore di talento, ma c'erano numerosi autori di satira assai meno dotati e gratuitamente volgari, sul genere di Ermippo). Ovviamente già allora gli ateniesi più beceri e bigotti s'incazzavano con gli autori di satire a sfondo religioso, e lo Stato doveva far piantonare il teatro dalla forza pubblica affinché qualche scalmanato non tentasse di menare gli attori e/o l'autore (e ogni tanto gli scalmanati ci provavano comunque). Ciò equivale a dire che lo Stato ateniese tutelava la satira, considerandola uno strumento prezioso per la tutela della democrazia. Trovo imbarazzante che un filosofo d'oggi (Galimberti) non le riconosca il medesimo valore e la medesima importanza.

Anonimo ha detto...

Davide, mi sembra che tu faccia un'aggiunta importante. Tanti, non solo Galimberti, in questi giorni hanno parlato dell'umorismo sulla religione come di una conquista della modernità. Senza documentarsi molto, a quanto sembra.
Mi viene in mente anche quella frase di Bernard Williams, che diceva la storia del cristianesiamo è un lento e faticoso ritorno alle virtù dei pagani.

Mucho Maas ha detto...

vorrei tornare all'esempio-metafora del post, che non mi sembra azzeccato. In fin dei conti non si capisce cosa c'entri l'islam con un bambino che va al cinema.
Te ne propongo un altro, che mantiene diciamo così i personaggi e il contesto generale ma modifica la siutazione in qualcosa che sembra più aderente a ciò di cui parliamo.
Abbiamo a che fare con un bambino che sta facendo un po' di casino. Un qualche capriccio per ottenere una cosa qualsiasi. Non importa cosa: per lui è importantissima. Però è una cosa che non può avere, e poi per noi è una questione di principio. Noi che facciamo? Per stigmatizzare il suo comportamento, non volendo e potendo usare la violenza fisica, dovremmo giustamente tentare di essere assertivi ma anche di instaurare un dialogo educativo (io ho un bimbo di due-tre anni: essere assertivi e basta va bene in qualche caso, ma mica sempre, se non vuoi trasformarlo in un automa).
Invece decidiamo di convincerlo o punirlo pigliandolo per il culo. Prendiamo ciò che ha di più caro, tipo il ciuccio, e glielo cospargiamo di sale. Poi glielo diamo e giù a ridere come matti mentre lui sputazza. Il pupo da di testa e comincia a far volare gli stracci, rompe un vaso, morde la mamma. Arriva a casa un altro congiunto, assiste alla scena, gli viene raccontato cosa è successo. Ma come osa questo moccioso non capire l'ironia? Gli prende il suddetto ciuccio, lo fionda nel microonde, lo tira fuori fuso e lo rimodella a forma di putto alato. E giù tutti a ridere. Il bambino si tira giù i pantaloni e piscia sul tappeto. Arriva il padre, informato della faccenda si incazza, tira fuori il suo membro urlando al figlio: che "ci vuoi fare con quel pisellino, guarda questo, e pensa che mi scopo tua madre. E adesso smetti di fare il pazzo, torna a fare la persona civile e vedi di crescere". Ilarità generale, il bimbo ha una crisi di nervi, e inizia a spaccare tutto quello che trova... si potrebbe continuare ma mi manca l'estro.
Bene, cosa vogliamo fare con questo bambino?

Anonimo ha detto...

Guarda, il tuo esempio mi piace e lo trovo istruttivo. Ovviamente hai ragione che quello sarebbe un comportamento condannabile e disastroso. Il punto è che, secondo me, non è aderente al comportamento che ha tenuto l'occidente (facendo finta che esista una cosa chiamata così). Nel nostro caso, di fronte alle proteste del bambino, ci sono state:
1) Una lettera di spiegazioni del giornale danese dove spiegava che non intendeva offendere e che sta facendo sforzi di presentare esempi positivi di integrazione. Non è granché, ma è piuttosto diverso dal ridere in faccia a qualcuno come succede nel tuo esempio.
2) Un direttore punito con un licenziamento in tronco. Ripeto: un direttore punito con un licenziamento in tronco. Per lesa religione!
E a quel punto il bambino, invece di ritenersi soddisfatto, siccome c'era lì una zia per caso (il governo danese), ha chiesto che si scusasse pure lei, così, anche se non aveva fatto niente. E, siccome la zia non l'ha fatto, le ha preso la borsetta e ci ha cagato dentro.

Mucho Maas ha detto...

si, la metafora dei bambini è un gioco che si stva facendo all'interno di un modello, chiaro che la posizione paternalista è comoda e inelegante...

angelita, hai ragione: la lettera di spiegazioni però è arrivata insiema alla ripubblicazione ossessiva delle vignette su tutta la stampa europea. i due esempi-metafora che usiamo coesistono. Vorrei ripeterlo (poi basta, eh, tanto in realtà a parte qualche importante sfumatura siamo tutti d'accordo). Il suddetto giornale ha fatto bene a pubblicare le vignette. Nel senso che se pensava di doverlo /poterlo fare, data la libertà di espressione di cui gode, ha fatto bene a farlo. Poi visto quello che è successo, il riflesso condizionato (assolutamente giustificato su base razionale) della stampa europea (e pure mio, eh) è stato del tipo "facciamola vedere noi a quei selvaggi ignoranti". (e anche un po' di specchio riflesso, delio, giustissimo!) Ecco, qui imo si è smarronato, non ci si è provati a mettersi nei panni dell'altro, e la mancanza di empatia di solito è un errore. In questo senso l'invito galimberti al rispetto mi è sembrato appropriato, anche se non mi appartiene del tutto.(ad esempio, io sono un bestemmiatore abbastanza impenitente, cerco di frenarmi, ma ho sempre pensato che invece non dovrei trattenermi... ecco da questa storia chissà, magari divento un po' meno smadonnatore)

Anonimo ha detto...

Delio, ti do ragione su quasi tutto.
1) La metafora del bambino è fuorviante e, come dici tu, paternalistica. Se vogliamo, è come offendere i musulmani un'altra volta. Ma siccome questa metafora ha circolato molto in questi giorni, ho voluto sottolineare che, anche a prenderla sul serio, non risolve nulla.
2) Sì, la lettera è tautologica o, se vuoi, assertiva: il giornale dice di avere buoni motivi per avere fatto ciò che ha fatto. Comunque non è irridere. E' già una piccola forma di rispetto ("ci tengo a spiegarti").
3) Il direttore che pubblicasse frasi come quelle lo caccerei io stessa a calci nel sedere.
Ciò su cui non mi trovo in sintonia con te, e con un gran numero di persone, è il giudizio sul contenuto nelle vignette. Tu le guardi e le paragoni a "morte agli ebrei, morte ai negri". Io le guardo e un messaggio così volgare e violento non ce lo vedo proprio. E, per essere chiara, non riesco a credere che ce lo possa vedere neanche un musulmano adulto. Qui concordo con Gad Lerner e con altri che non credono alla sincerità della protesta.

Anonimo ha detto...

Mucho Mass, do ragione anche a te sul rispetto, e il cercare di mettersi nei panni degli altri. Ognuno di noi sa di doverlo fare nella vita quotidiana. Non c'è motivo per cui non lo si possa fare anche in politica, nei rapporti internazionali, ecc. Però, ci sono anche i momenti in cui bisogna essere rigidi e dire: guarda che io penso di avere ragione. Per esempio, quando ci fu la vicenda Rushdie (I versetti satanici è molto peggio di quelle vignette, per chi l'ha letto e se lo ricorda), il mondo della cultura decise che si doveva proteggere la libertà di pensiero. A nessuno, in Italia, saltò in mente che non bisognava tradurlo. Con le vignette, si trattava di fare lo stesso. Molti in occidente non saranno stati sobri, ma credo che sull'incendio si sia soffiato da entrambe le parti.
Quanto agli smadonnamenti, non so se hai mai notato quanto smadonnano i cattolici.

Anonimo ha detto...

Caro Delio, tu vedi un insulto al livello di "tua madre è una troia", io no. Con "tua madre è islandese" il tuo esempio funziona ancora, anche se già è meno efficace. Ma prendi "io credo che la religione musulmana sia usata a sostegno della violenza", che secondo me era il messaggio complessivo delle vignette. Uno ti picchia perché, appunto, si sente offeso dal messaggio come se gli avessi insultato la madre. A quel punto nessuno deve ripetere quella frase?
Aggiungo una cosa: in tanti (compresa me) hanno ripubblicato le vignette perché a loro volta si sono sentiti toccati su una questione di principio. Mica per il gusto di girare il coltello nella piaga. Non dimentichiamoci il licenziamento del direttore di France Soir, cosa di cui ormai non si parla più ma che è all'origine di tutto. Le vignette danesi sono del settembre 2005, e tutto quello che avevano provocato era stato un invito al boicottaggio dei biscotti al burro (o delle tv Bang & Olufsen).

fio ha detto...

angelita, secondo me invece il paragone con i bimbi fatto da delio calza perfettamente: il punto infatti non è tanto nell'equiparazione del messaggio, ma nella similitudine tra le reazioni che un messaggio offensivo suscita.

ieri facevo questo esempio. diciamo che c'è un bimbo X che, se gli insultano la madre, fa spallucce e se ne frega. considerata la propria reazione, bimbo X può dunque essere autorizzato a generalizzare pensando che funzioni così per tutti gli altri. quindi un giorno va da bimbo Y e gli dice una caterva di cose orrende su sua madre: ma bimbo Y ragiona diversamente da lui, se la prende, e se si incazza magari lo mena anche.
a questo punto bimbo X può:
a) rendersi conto che quello che non dà fastidio a lui dà però fastidio ad altri, e anche se non ne capisce perfettamente le ragioni decide di piantarla - fermo restando che ha tutto il diritto di continuare a insultare madri altrui. è totalmente libero di farlo, quando e come gli pare, oggi e domani e sempre. MA non lo fa.

oppure

b) può andare a chiamare tutto il resto dei suoi compagni di classe e far ripetere a tutti quanti gli insulti di prima, una volta e due volte e trecento, di fronte a bimbo Y.

ambedue le possibilità sono perfettamente plausibili. la differenza sta nella dose di intelligenza [rispetto, considerazione, tolleranza, gentilezza, attenzione, sinonimi a cascata] di bimbo X nel momento in cui si trova a scegliere una delle due.

Anonimo ha detto...

Fio, capisco il tuo punto di vista. Davvero. Credo di capire onestamente perché i musulmani, o alcuni musulmani, si siano sentiti offesi, e perché quelle vignette non erano belle. Lo dico sapendo che anch'io mi infastidisco facilmente. Pensa che oggi mi sono arrabbiata vedendo che Repubblica, che non ha pubblicato le vignette, non ha voluto però privare i lettori di questo illuminato messaggio alle donne che lavorano.
E però, davanti al tuo esempio, o quelli di Delio e Mucho Maas, mi chiedo: dove li rappresentate i sentimenti o le opinioni di chi, ripubblicando le vignette, voleva difendere un principio? Sembra che da una parte ci siano musulmani maneschi ma sinceri, e dall'altra gente che prende gusto a insultare. Io le vignette le ho linkate: secondo voi l'ho fatto per insultare?

Anonimo ha detto...

Delio, se io penso che le vignette non avevano un'intenzione lesiva, e non meritavano niente di più dell'alzata di sopracciglio che ben citi, e tu dici invece che sono state disegnate "col solo scopo di fare carne di porco di un tabú", è chiaro che saremo sempre in disaccordo.
Sul merito: non ci entro perché non voglio entrarci. Non credo che la libertà di espressione consista nel proteggere solo le opere intellettualmente profonde o artisticamente riuscite. Altrimenti, si ridurrebbe la libertà di espressione a un privilegio dei pochi eletti. Credo che veda benissimo anche tu il risvolto autoritario di dire: l'opera X è bella e la tuteliamo, l'opera Y no e quindi non la tuteliamo.
Una domanda: non mi è ben chiaro cosa proponete voi che sostenete la tesi della grave offesa. Forse le scuse ufficiali del governo danese? Lo dico senza malizia, solo per capire.

Anonimo ha detto...

Delio, la storia della genesi delle vignette è uscita subito su tutti i giornali. Un autore danese si era lamentato di non riuscire a trovare nessun disegnatore disposto a firmare le illustrazioni per un suo libro su Maometto. In Danimarca, ne era nato un dibattito sulla libertà di espressione, dove si discuteva se la paura delle reazioni islamiche non stesse limitando di fatto il nostro modo di vivere. Per esempio, gli ebrei non possono pronunciare il nome di Dio, ma questo non ci ha mai impedito di dire "Jahweh". Nessuno ha mai pensato che il farlo li offendesse. Da lì l'idea del concorso, che quindi non era una gara di rutti ma si inseriva bene o male in un dibattito.
Se tu pensi che occorre proteggere "solo le opere intellettualmente profonde o artisticamente riuscite", benissimo. Sul non proteggere i rutti, sono d'accordo con te e immagino con Voltaire. Il problema è la zona grigia fra l'intellettualmente profondo / artisticamente riuscito e i rutti. Io voglio che sia protetta anche quella. Non fosse che per il fatto che so che al livello di Rushdie non posso arrivarci, e però vorrei poter parlare e scrivere lo stesso.

Anonimo ha detto...

Chiudo anch'io, dato che in effetti ci stiamo ripetendo. Nota leggera finale: siccome sono diffidente, ho voluto verificare che non ci fosse una tradizione di umorismo sulla parola "jahweh". Mi sono subito imbattuta in questo. Non so che significhi, ma sento che mi piace. Cliccate sui cavalli per l'audio.