La religione è utile? I conservatori hanno sempre detto di sì. Nel Settecento, De Maistre difendeva i troni dei principi e le cattedre dei vescovi col più semplice degli argomenti: che gli esseri umani, abbandonati a loro stessi, sono troppo cattivi. “Le mani distruttive dell’uomo non risparmiano alcun vivente”, scriveva; senza il timore della legge, e quello di Dio, come potrebbe sopravvivere la società?
Questa teoria è tornata di gran moda, almeno in Italia. Tutti i giorni qualche politico, qualche intellettuale, qualche blogger, e non solo di destra, si accoda ai Pera e ai Ferrara che dicono che, sì, un paese ha bisogno di una religione. Una religione pubblica. Per esempio, proprio ieri, Azioneparallela polemizzava con un fan dell’idea che lo Stato dovrebbe agire “etsi Deus daretur”, come se Dio esistesse, perché così promuoverebbe i suoi stessi fini.
Se la religione fosse utile io, per quanto atea, non mi opporrei a fare il baciamano a un vescovo più di quanto mi opponga alle tasse. Però, prima, dovrebbero dimostrarmi che la religione è utile davvero. Su questo punto i politici, gli intellettuali, i blogger restano sempre sul vago. Parlano di “identità”, “compattezza sociale”, “aggregazione”, che suonano più che altro come valori estetici. Io, da cittadina, vorrei un po’ di ciccia.
Per fortuna, fare una verifica è facile. La religiosità, e il grado in cui la religiosità è pubblica, variano molto da paese a paese. Se fosse vero che la religione è utile, dovremmo vedere benefici nei paesi più religiosi. Lasciamo perdere i musulmani, o i paesi in via di sviluppo. Diciamo che, negli Stati Uniti, dove Dio è nella Costituzione e la frequenza in chiesa è altissima, dovremmo trovare qualche importante indicatore sociale con valori eccellenti. In Svezia, o in Giappone, dove l’ateismo prevale o la religione è vissuta nel privato, lo stesso indicatore dovrebbe essere disastroso.
Il professor Gregory S. Paul, dell’Università del Maryland, si è preso la briga di fare il lavoro. In un articolo appena uscito sul Journal of Religion & Society, ha studiato un campione di paesi sviluppati e alcuni tipici indicatori di benessere sociale: omicidi per abitante, suicidi per abitante, mortalità infantile, attesa di vita, malattie veneree, aborti fra gli adolescenti, gravidanze indesiderate.
Nel suo articolo, il professor Paul costruisce grafici dove sulle ascisse c’è la religiosità di un paese e sulle ordinate ci sono gli indicatori sociali. Nel grafico che trovate sopra, l’indicatore sociale è l’aborto fra gli adolescenti. Le lettere indicano le posizioni dei vari paesi. Come vedete, c’è una tendenza abbastanza definita: i tassi di aborto crescono col crescere della percentuale di credenti in un paese (sinistra), o della percentuale di chi va a messa (destra). Cioè:
più religiosità -> prestazioni sociali peggiori (!)
Per esempio, “U” è gli Stati Uniti, “W” è la Svezia, “E” è la Gran Bretagna. Lo stesso trend si ripete per tutti gli indicatori: qui trovate l’articolo, in fondo ci sono i vari grafici (in alcuni c’è anche l’Italia).
L’autore conclude che la religiosità è dannosa. Questa conclusione, con cui mi verrebbe da simpatizzare, è estrema e richiederebbe molte elaborazioni e verifiche. Ma i dati bastano per dire che, quanto meno, non ci sono evidenze che le società più religiose vivano meglio. Soprattutto se per vivere meglio si intende qualcosa che interessi davvero i cittadini: salute, sicurezza, protezione dei giovani.
Gli Stati Uniti, se guardate tutti i grafici del professor Paul, sono forse il caso più inquietante: un paese con una religiosità pubblica fortissima, e un deficit sistematico nel tradurre la ricchezza economica in beni sociali.
Perciò, a quanto sembra, una società secolarizzata non è condannata a disintegrarsi. Anzi, può prosperare! Come mai? Forse, suggerisco, perché le persone hanno, oltre alle tendenze distruttive, una natura sociale a prescindere dall’essere religiosi: se vi guardate in giro, noterete che le persone amano la famiglia, l’ordine pubblico, l’avere un lavoro, uscire con gli amici anche se sono poco devote; a volte, persino se sono atee.
Questa è una buona notizia per noi: non siamo tenuti a essere devoti per tenere insieme il paese. E’ un sollievo. Un liberale dovrebbe esserne contento. Possiamo essere atei senza mettere a rischio la tenuta sociale. Possiamo decidere di tenere, o non tenere, i crocifissi nelle scuole senza che ne vada del futuro dei nostri figli.
E, mi sembra, è una buona notizia anche per la religione. E’ da parecchio che non leggo il Vangelo ma mi sembra che Gesù, già ai suoi tempi, fosse molestato da personaggi che volevano facesse il re del mondo; lui, se non sbaglio, preferiva reggere i cuori. L’ipocrisia, che pure è una tecnica efficace di controllo sociale, ricordo che non gli piaceva molto. A questo proposito, mi viene in mente un vecchio passo di Russell che, correndo terra terra, e guadagnandosi il disprezzo di qualche filosofo d’accademia, aveva sempre un suo modo diretto di centrare il punto.
“Posso rispettare l'uomo che sostiene che la religione è vera e che perciò deve essere creduta, ma posso sentire solo una profonda riprovazione morale per chi dice che la religione deve essere creduta perché è utile e che chiedersi se sia vera o falsa è una perdita di tempo” (Bertrand Russell, Può la religione guarire i nostri mali?, 1954).
18 commenti:
Sai come la penso. Qui aggiungo solo che anche se fosse utile non lo troverei ancora un buon argomento.
(Però, questi professori, permettimi di dirlo con il disdegno del filosofo speculativo: non hanno veramente niente da fare!).
Azioneparallela
Di solito evito di commentare se devo dire solo "oh che brava!", però questa volta faccio un'eccezione. Il discorso mi trova esattamente d'accordo.
Che la religione faccia male non è un'idea nuova (scriveva Voltaire nel Trattato sulla tolleranza: "Il primo santo fu il primo furfante che incontrò il primo stupido"). Tra l'altro, e questo è un fatto curioso, Voltaire era convinto che facesse male per la stessa ragione per cui De Maistre era convinto che servisse: diceva Voltaire, gli uomini son troppo cattivi: dategli anche la religione e se ne serviranno per opprimere i propri simili.
Ciò detto, a mio avviso, la religione è e resta l'oppio dei popoli: ma una società atea può mantenersi virtuosa solo se mantiene un sano attaccamento alle proprie tradizioni culturali, svuotandole dal contenuto religioso (come, guardacaso, il Giappone). Una società atea, ma prudentemente tradizionalista, può ben prosperare. Una società sradicata, intrinsecamente iconoclasta e progressista, è destinata all'annientamento/assorbimento progressivo (non sono idee nuove, cmq, anche queste: ne parlava Spengler un bel po' di tempo fa nel suo "Tramonto dell'occidente"). Morale della favola: io sono convinto che gli uomini possano vivere senza religione (anzi, che sia meglio se vivono senza religione): ma non senza simboli.
angelita, sposami.
(si lo so, ho già moglie e figlio, ma insomma, siamo atei, non ci formalizzeremo su questo...)
AP, sono d'accordo che non sarebbe un buon argomento. Ma, mi chiedo, se i fatti dicono che la religione non aiuta una società, a che pro stare a discutere con chi invoca la religione pubblica, l'etsi deus daretur, etc.? Ai professori che raccolgono i dati (sia detto con simpatia verso chi si occupa d'altro) va tutto il mio affetto.
Naurus, grazie, a me gli "oh che brava" in realtà piacciono moltissimo.
Delio, i vescovi sono già nazionalizzati: una parte delle nostre tasse va giusto a loro.
Davide, sono d'accordo che una società ha bisogno di radicamento e di simboli. Allo stesso tempo, credo due cose.
1) Che la società abbia sempre una differenziazione interna; tutti noi ci troviamo meglio in certi ambienti, o con certi gruppi di persone. L'idea di identità nazionali, di valori comuni, di un radicamento uguale per tutti gli abitanti di un paese, che è poi l'idea nascosta in frasi come "non possiamo non dirci cattolici", è un falso. E tentare di rendere vero questo falso spesso diventa una violenza.
2) Che i simboli devono fare i simboli, e cioè agire nella dimensione culturale, discorsiva; immagino di essere d'accordo con te dicendo che se i simboli si usano come arma di controllo sociale a carico di chi, si pensa, non si conformano abbastanza ad essi, diventa tutta un'altra faccenda.
MM, grazie (anche per la segnalazione gentile sul tuo sito), ma temo che dovrai metterti in coda... ;-)
Cara Angelita, d'accordo con te sul punto 2. Credo invece che il discorso che fai al punto 1 non possa venir riassunto in un approccio dicotomico in cui si sono soltanto due possibilità: quella di un'identità nazionale castrante, claustrofobica, illiberale; e quella di una società in cui ciascun gruppuscolo, e in certi casi ciascun individuo, si fabbrica i suoi simboli. Se un simbolo non è largamente condiviso, non può funzionare come elemento di aggregazione e non costruisce identità collettive: i simboli più efficaci sono perciò quelli che provengono dalla tradizione. Detto ciò, in Italia non abbiamo (purtroppo) una identità nazionale laica così forte da aver prodotto simboli di notevole spessore, e in questi anni è andata al potere gente che ha fatto di tutto per disfare e dequalificare i pochi simboli laici che avevamo (la Resistenza, il Risorgimento, etc.). Ci lamentiamo che l'Italia non è un paese laico, non si è mai laicizzata, è ancora asservita culturalmente e psicologicamente ai vari Ruini etc.: ebbene, io non credo si possa andare allo scontro con la Chiesa cattolica con le armi del "pensiero debole" e del relativismo, perché sono armi spuntate. Non a caso in Francia, dove i simboli della laicità sono forti (ed esiste una cultura laica tradizionale, tant'è che si manifesta anche a destra) le istituzioni del progresso laico sono ben più al sicuro e nessuno pensa di doversi appellare alla Chiesa per salvare la civiltà dalla rovina.
nuovo alla frequentazione, mi unisco ai complimenti e alle richieste di matrimonio ;)
Davide, sono d'accordo anch'io nel scartare sia l'identità unica castrante sia la produzione simbolica ognun per sé. E se mi parli, come tradizioni, della storia o della cultura nazionale, sono d'accordo anche su quello. Risorgimento, resistenza (o Dante Alighieri, Michelangelo, ...) mi vanno bene come patrimonio comune, e penso che non sia per caso che la gente al potere li abbia voluti distruggere. Quello che mi premeva, in 1), era di salvare lo spazio in cui si elaborano le identità personali e i percorsi di vita, spazio che viene a mancare se, per fare un esempio, lo Stato tenta di imporre la tradizione della famiglia fondata sul matrimonio come unica chance di vita di coppia.
Fra le tradizioni, io ci aggiungerei anche la libertà, la democrazia, l'uguaglianza e tutti gli altri valori civili, che hanno a loro volta una storia e una tradizione, persino nel nostro paese. E' tanto e, sinceramente, come laici non penso che abbiamo armi spuntate contro la Chiesa. Il problema, nel clima culturale di oggi, mi sembra sia soprattutto quello di trovare la voce giusta per farle sentire.
Delio, tutto giusto, ma capisci che da un vescovo nazionalizzato non puoi pretendere che biasimi gli evasori quando non lo fa neppure il presidente del consiglio.
Miic: grazie, a questo punto sei il terzo. So che c'era un proverbio, sulle donne in queste situazioni, che adesso non ricordo. Se qualcuno mi aiuta... :-)
Arrivo qui per la prima volta. Oh che brava.
Grazie. Torna a trovarci!
La religione è inutile. Forse. O forse no.
Ciò che mi sembra ragionevolmente certo è che questa "ricerca" non dimostra né avvalora alcuna tesi.
Burp, capisco il tuo punto di vista. E tuttavia la ricerca dimostra che le nazioni più religiose non sono quelle che stanno meglio.
Gad Lerner tira fuori spesso la storia dei tabu. 'Necessitiamo di qualche tabu' dice, almeno per proteggerci da noi stessi.
Io penso che possiamo liquidare la religione di stato, ma che non si possa ridicolizzare o sminuire la religiosita'.
Molte persone che reputo piu' intelligienti e preparate di me sono credenti ad esempio, vale anche per loro l'oppio dei popoli?
Non credo si possa generalizzare.
E poi l'etica utilitaristica - l'unica possibile privandoci della religiosita' -, portata all'estremo risulta intrinsecamente contraddittoria: tu e io scompariamo per lasciare il posto a meccanismi, calcoli e strategie nascoste perfino a noi stessi. Partendo dall'amore: la truffa piu' vile e subsola di tutte.
Michele, a me liquidare la religione di Stato basta. Non intendo ridicolizzare e sminuire la religione; dico solo non è una necessità sociale. Mi sembra che i fatti storici dicano che, per quanto sia sorprendente, nessuna società ne ha bisogno per stare in piedi. I tabù, fra l'altro, non nascono attraverso la religione. Quello dell'incesto non è certo una creazione religiosa, ed è piuttosto forte. Il tabù del non uccidere, negli stati cristiani del passato, pur stretti alla Chiesa, mi sembra non abbia mai decollato...
Sull'oppio dei popoli, non implica che chi usi questo oppio debba essere stupido.
Sull'etica utilitaristica, io rinuncio anche a quella. E all'etica in generale. Non conosco nessuno che, nelle sue scelte personali, si faccia guidare dall'etica davvero (tipo "potrei fare questa cosa senza danni, e desidero farla, ci rinuncio perché c'è una norma ecc. ecc."). Quando crediamo di fare scelte etiche, di regola abbiamo sentimenti o interessi che sono la vera causa del nostro agire. Pensare che facciamo ciò che facciamo perché siamo "buoni": questa, non l'amore, è "la truffa piu' vile e subdola di tutte".
il punto e' che sembra parliate di un manipolo di ingenui semplicioni. Anzi, piu' che altro di individui spauriti incapaci di affrontare chissa' quali crude evidenze.
Ma se dev'essere materialismo, che sia cieco: a me la tua pare una trascendenza speculare e negativa a quella di chi si prefigge il bene. niente di piu'.
Ecco, sì, confesso di avere una certa inclinazione verso il male. Quando vedo queste persone che si prefiggono il bene, a volte mi capita persino di digrignare i denti.
insomma, le mia ragioni sono cosi' povere che gia' non meritano una risposta?
vabbe', taluni sostengono che la scelta che sta alla base delle nostre posizioni ci preceda, poi chiaro che non ne viene a te e non ne viene a me di star qui a parlar di religione. l'idea del dialogo pero' mi era abbastanza gradita.
ma pace, spero almeno di non avervi infastidito troppo con le mie puerili intuizioni.
adesso tornate pure a darvi ragione l'un l'altro! :)
Quale dialogo? Credi che rappresentare in modo caricaturale le opinioni di una persona sia avere un dialogo con lei? Dove hai letto di semplicioni ingenui? Di individui spauriti? E la teoria (piuttosto forte) che io proporrei una trascendenza maligna, speculare e negativa a chi propone il bene, dove le hai scritte le ragioni che la sostengono?
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