Cinema
Eliseo, sala Scorsese, a Milano. E’ domenica, il papa è morto, e radio e televisioni sono in lutto. In Rai niente programmi disdicevoli: via il Gran Premio, via Domenica in, via persino Passepartout, una trasmissione d’arte, per timore che qualche lepidezza di Philippe Daverio turbi il raccoglimento dei cattolici (che, devo supporre, si raccolgono guardando la TV). Allora ci rifugiamo al solito Eliseo, lasciando che, come diceva quel tizio, “i morti seppelliscano i loro morti”. Per la strada vediamo ragazzi che scherzano, adulti che si baciano, vecchiette che chiacchierano e altra gente viva, cui del papa pare non importare granché.
Trama
Miles, insegnante e aspirante scrittore, è divorziato da un paio anni, ma non se ne è ancora fatta una ragione. Jack, un attore in declino, sposerà una ragazza ricca, bella e innamorata fra una settimana. I due, vecchi amici di scuola, partono in auto per la valle dei vini di Santa Inez, in un viaggio a metà fra addio al celibato e vacanza enogastronomica. Fra un ristorante e una cantina, un assaggio e un’assaggiatrice, vivranno avventure sentimentali (il primo) e sessuali (il secondo).
Cosa funziona
Paul Giamatti (Miles). Nel ruolo dell’intellettuale in conflitto con la vita, che si sente sconfitto ma non cessa di sperare, che è sapiente ma incapace di lasciarsi andare. Sarebbe facile cadere negli stereotipi, invece ne esce un personaggio rotondo e vero. Ti viene il sospetto che l’attore sia così anche nella vita. Mentre la carriera (vedi filmografia) lo dimostra interprete versatile.
Thomas Haden Church (Jack). Nel ruolo della vita naturale: l’uomo che ama le donne ed ha cari gli amici senza l’ostacolo della riflessione. Superficiale ma generoso, ignorante ma capace, stronzo ma coi suoi valori. Rispetto a Giamatti, una recitazione con poche sfumature. Ma anche lui è a suo agio nel personaggio.
I due insieme. Sì, lo so, è il classico gioco di “strana coppia”, basato sul contrasto di caratteri e l’affettività maschile. Però funziona.
Virginia Madsen (Maya, la fidanzata di Miles). Nel ruolo abbastanza convenzionale della donna che è moderna (indipendente, esigente) ma a proprio agio nella femminilità tradizionale (maternità, protezione). Anche l’interpretazione è abbastanza convenzionale. Però lei ti piace.
Sandra Oh (Stephanie, la fidanzata di Jack). Nel ruolo della maialona che si attende di essere sposata. Brava, sulla fiducia (sono uno che trova i volti asiatici inespressivi, ma deve essere un difetto mio).
La regia. Dopo A proposito di Schmidt, Alexander Payne ribadisce le doti di narratore. Niente trovate (tranne un inutile split screen all’inizio), niente schematismi, precisione, alternanze sensate dei campi, concatenazione accurata delle scene, grande spazio per gli attori. Forse un po’ televisivo. Molto riuscita l’unica sequenza d’azione, anche se il risultato sarà che l’immagine di un grassone nudo schiacciato contro il finestrino della vostra auto vi rimarrà impressa nella mente per sempre.
Dialoghi. Divertenti anche se, di nuovo, un po’ televisivi. Battuta memorabile: “Mi raccomando, stasera non passarmi dal lato oscuro della forza”.
Cosa non funziona
La valle di Santa Inez. Brutta. Può darsi che un giorno i vini californiani faranno concorrenza ai nostri ma, come paesaggio, il Chianti può dormire sonni tranquilli.
Il vino. Troppo entusiasmo dei personaggi per vitigni, retrogusti, assaggi, annate, ecc. Stephanie ha addirittura una figlia che si chiama Siena. Gli americani sono ancora nella fase della scoperta della viticoltura: quando progrediranno, capiranno che i veri intenditori hanno un’aria blasé. Comunque, molti spunti di discussione per il dopo-cinema, a partire dall’inevitabile discorso degli europei succubi della cultura popolare americana bassa (jeans, sneakers, gomme da masticare, coca cola, ecc.) e degli americani succubi della cultura popolare europea alta (vini, ristorazione, abbigliamento, automobili di lusso, ecc.).
Durata
Due ore. Il film ci mette mezz’ora a decollare, poi regge bene fino al termine.
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