Nicola è il nostro economista. Perciò gli dico: “Nicola, ma perché è il Comune che fissa i giorni dei saldi? Non potrebbero sceglierlo i commercianti? Perché non dovrebbero iniziare quando preferiscono? Negli altri paesi i negozi, se vogliono, fanno i saldi anche prima di Natale!”.
Lui non risponde, e fa una delle sue pause che non finiscono più. Mi ricorda Craxi, che taceva dopo ogni frase, per allargare il silenzio, come a suggerire implicazioni minacciose. O Celentano, che si arresta, come stesse per dire una cosa grossa, che poi si rivela una grossa fesseria. So che è così che ci si rende autorevoli. Nicola, invece, si capisce che in quel momento pensa davvero, e sembra solo un po’ lento.
“Sono i commercianti che chiedono ai Comuni di regolare i saldi”, dice, ma già si volta e si dirige alla libreria. “Vogliono che i Comuni limitino il periodo perché a loro non conviene tenere i prezzi bassi tutto l’anno.”
“Lo so”, dico, “ma i commercianti potrebbero gestirsi da soli. Sanno che ci perderebbero ad abbassare i prezzi a Ottobre o Novembre. Potrebbero accordarsi per non iniziare prima di un certo giorno.”
“Certo”, dice, mentre fruga fra i libri. “Il problema è ottenere che tutti rispettino l’accordo, che qualcuno non inizi prima del tempo, sottraendo clienti agli altri. A volte, i commercianti colludono piuttosto bene. Quelli italiani, alzarono i prezzi tutti insieme il giorno della partenza dell’euro”.
“Appunto! Mi ricordo bene”, dico, “il primo gennaio a Milano non c’era un bar che non avesse già arrotondato!”.
“Però”, dice, e si dirige all’altra libreria con aria perplessa, “i saldi sono un caso diverso. Un negozio in difficoltà, per esempio, ha un incentivo forte ad anticipare i saldi, per fare entrare subito un po’ di contante. Per impedirlo, i commercianti dovrebbero sorvegliarsi l'uno con l'altro di continuo, e pagare gente che andasse in giro a controllare”.
“Beh, potrebbero permetterselo”, dico.
“Sì, ma è costoso”, dice. Estrae un libro e lo sfoglia. “E’ più conveniente affidare la regolazione dei saldi ai Comuni, così che sorveglino loro, con la polizia annonaria”.
“Ah”, dico.
“E’ sempre il tema, che ti è caro, di come lo Stato spende i nostri soldi”, dice. Si ferma su una pagina, annuendo col capo. “In questo caso, i Comuni li spendono in sorveglianza per impedire che i commercianti ci abbassino i prezzi.”
“Ah”, dico.
Legge. Io lo guardo. Nicola dice sempre che l’economia è una scienza bellissima ma, quando mi spiega queste cose, a me pare solo la scienza di come fa la gente a fregarti.
“Ti ricordi le vecchie gilde medievali?”, dice. Tiene un dito nella pagina. “Gli artigiani le creavano per limitare la concorrenza, e i Comuni, o i Signori, le proteggevano per scambio politico. Altrimenti, le gilde erano costrette alla violenza privata, per punire i trasgressori da sole. C’è un bel racconto, in questo libro.”
“Che cos’è?”, dico.
“E’ Mancur Olson, The rise and decline of nations”, dice. “E’ un libro su come il potere dei gruppi particolari limita lo sviluppo delle civiltà. Il racconto descrive in modo…”, e fa un gesto circolare con la mano, “… efficace, come i commercianti di una volta applicassero pene severe.”
Mi porge il libro aperto. Lo prendo. Lui mi si affianca, vicino, e mi indica il pezzo.
Leggo. In effetti il racconto è buffo.
“Potremmo pubblicarlo sul blog”, dice.
“Certo”, dico, e intanto ci penso.
“Però, ci vorrebbe una bella presentazione”, dice, aggrottando le sopracciglia, “non so, per esempio, potrei…”.
“No, la scrivo io”, dico. Sorrido, e gli do anche una carezzina sul mento: “So già come farla!”.
Manca solo il racconto, no?
“Il potere delle gilde poteva essere usato persino contro il governo. C’è un’illustrazione agghiacciante di ciò nelle relazioni di Macgowan sulla gilda dei battiloro, che offriva lamine d’oro che l’imperatore acquistava in grandi quantità (in Cina, ndt). La regola della corporazione era che nessun produttore potesse avere più di un apprendista, ma un membro fece presente al magistrato che se gli fosse stato concesso di assumere un numero di apprendisti avrebbe velocizzato il lavoro. Ricevette il permesso di farlo e assunse moltissimi apprendisti. Questo comportamento, che innalzava le quantità prodotte e faceva scendere i prezzi, fece infuriare la corporazione. Fu fatta circolare la voce che “mordere a morte non era un delitto capitale”, a quanto sembra in base alla macabra teoria che nessun morso singolo è fatale, e il violatore del cartello fu presto morto, per l'azione diabolica di 123 colleghi. A nessuno fu permesso di lasciare la bottega prima che i loro denti e gengive avessero dato prova di ciò che, in circostanze più leggere, chiameremmo ‘etica professionale’. Per quanto l’uomo che diede il primo morso sia stato, come si apprende, scoperto e giustiziato, si può ben supporre che almeno gli animi più delicati fossero diventati più restii ad aumentare le quantità o tagliare i prezzi, anche quando l’acquirente era l’imperatore” (traduzione mia sull’originale del 1982 della Yale University Press, p. 149).
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