Oggi uno scrittore teme che nessuno stampi il suo libro. Nell’Europa del Settecento, dove pochi scrivevano e gli stampatori abbondavano, uno scrittore si preoccupava soprattutto che nessuno distruggesse il suo libro appena uscito. I roghi erano frequenti. I principi, i vescovi, i magistrati e i municipi vigilavano su ogni tipo di stampa perché non eccitasse il popolo. Se giudicavano pericolosa un’opera, ordinavano ai librai e ai lettori di consegnare le copie. Ammassatele su una pubblica piazza, le incendiavano. Intanto imprigionavano lo scrittore, se non era già fuggito.
Il motto di Voltaire, “detesto ciò che scrivi, ma darei la vita perché tu possa continuare a scrivere”, che suona iperbolico alle nostre orecchie, era adeguato alle crudezze dell’epoca. I nemici della libertà di parola erano armati. Dare rifugio a uno scrittore in disgrazia, o intervenire a suo favore in altro modo, era rischioso. Voltaire, dicendosi pronto alla lotta, faceva una dichiarazione impegnativa. Lui stesso, in gioventù, aveva passato un anno in carcere per avere scritto una satira sul Reggente di Francia.
E’ in quel clima che Jean-Jacques Rousseau pubblicò, nei primi mesi del 1762, due delle sue opere celebri: Emile, un discorso sull’educazione, dove dice che l’uomo nasce buono e poi la società lo corrompe, e Il contratto sociale, dove dice che l’uomo nasce libero ma è ovunque in catene. Entrambe le opere dispiacquero alle autorità: i preti erano affezionati all’idea che l’uomo nasce corrotto ed è poi reso buono da loro; i principi erano affezionati all’uso delle catene.
A giugno, il Parlamento di Parigi mandò al rogo Emile. Dopo pochi giorni, il Piccolo Consiglio di Ginevra, la città natale di Rousseau, mandò al rogo Emile e Il contratto sociale, “perché temerarie, scandalose ed empie, e tese a distruggere la religione cristiana e ogni governo”. Rousseau, ricercato, si rifugiò a Motiers, nel principato svizzero di Neuchatel.
In quegli anni Voltaire abitava in un castello a Ferney, una cittadina francese nello Jura. Ginevra era a pochi chilometri. Voltaire, ormai settantenne, sfoggiava ancora la prosa frizzante che lo aveva rivelato da giovane, ma era migliorato molto nelle pubbliche relazioni. Si era fatto amici alla corte di Francia. L’Académie française lo aveva accolto fra i suoi membri. Anche a Ginevra, Voltaire era introdotto nel circolo di notabili che governava la città attraverso il Piccolo e il Grande Consiglio.
Per Voltaire, Rousseau era un rivale. Dopo una collaborazione iniziale con Diderot e gli altri enciclopedisti, Rousseau, più giovane di loro, aveva preso posizioni filosofiche da cane sciolto. Nel 1756, si era spinto ad attaccare Voltaire, criticandone le tesi sulla provvidenza divina (Voltaire credeva non ci fosse, Rousseau sì). Ne era nata una rissa intellettuale, dopo la quale i due non avevano perso occasione per pungersi.
Potremmo dire: da tempo, Voltaire detestava ciò che Rousseau scriveva.
Quanto ad aiutare Rousseau perché continuasse a scrivere, Voltaire avrebbe avuto i mezzi per farlo. Non serviva che desse la vita. Per esempio, Voltaire avrebbe potuto spendere il suo peso a Ginevra, chiedendo agli amici nel Piccolo Consiglio di risparmiare a Rousseau la condanna.
Voltaire aveva già difeso scrittori perseguitati. Il motto di cui stiamo parlando apparve in una lettera che, nel 1758, Voltaire aveva scritto in appoggio a Dello spirito, di Helvetius, un’opera mandata al rogo dall’arcivescovo di Parigi. Poi Helvetius riparò in Prussia con l’aiuto di Voltaire.
E, negli stessi mesi dell’uscita di Emile e di Il contratto sociale, era scoppiato in Francia l’affaire Calas. Si trattava di un protestante, Jean Calas, condannato a morte a Tolosa con l’accusa di avere ucciso il figlio. Secondo i magistrati, Calas aveva così voluto impedire al giovane di convertirsi, come desiderava, alla chiesa cattolica. Il caso puzzava di persecuzione contro i protestanti. Voltaire ci si era buttato a capofitto e, muovendo tutte le sue relazioni (inclusa Caterina II di Russia), aveva ottenuto la riabilitazione del condannato (ormai sottoterra). Il caso avrebbe poi ispirato a Voltaire il celebre Trattato sulla Tolleranza.
Che fece Voltaire con Rousseau? La vicenda è intricata. Mi limito ai fatti principali.
All’inizio del 1762, dopo i primi clamori provocati da Emile e da Il contratto sociale, quando le autorità discutevano il da farsi, Voltaire tacque. Non risulta una lettera, un pamphlet, un abboccamento dove Voltaire abbia tentato di proteggere Rousseau.
A Rousseau, il silenzio di Voltaire parve voluto. Forse, sospettò che Voltaire avesse addirittura brigato contro di lui. Nel 1764, ancora in esilio a Motiers, Rousseau pubblicò le Lettere scritte dalla montagna, dove attaccava i governanti di Ginevra. Nella quinta lettera, Rousseau negava la sincerità di Voltaire. Con sarcasmo, Rousseau si chiedeva perché, se Voltaire era un difensore della tolleranza, i suoi amici ginevrini fossero stati tanto feroci contro Emile e Il contratto sociale: “Questi signori del Gran Consiglio vedono così spesso il signor Voltaire; come può non avere ispirato in loro quello spirito di tolleranza che predica senza pausa, e di cui ogni tanto ha lui stesso bisogno?”.
Nella stessa lettera, Rousseau si toglieva lo sfizio di svelare che Voltaire era l’autore segreto del Sermone dei cinquanta, un pamphlet anonimo contro le religioni rivelate, ritenuto blasfemo. Era un tentativo di inguaiare il rivale.
Le Lettere fecero chiasso. Solo allora Voltaire si mise a scrivere agli amici a proposito di Rousseau. In una lettera a François Tronchin, un personaggio influente del Piccolo Consiglio, Voltaire definì Rousseau un “blasfemo sedizioso” e invitò il governo a bruciarne le opere e ad agire contro di lui con “tutta la severità della legge”. Allora, la massima severità della legge era la morte.
Subito dopo, Voltaire scrisse Le sentiment des citoyens, un altro pamphlet anonimo, che fece uscire a Ginevra. Nell’opera Voltaire si finge un pastore protestante indignato dalle Lettere. Secondo il sedicente pastore, la tolleranza ha i suoi limiti: “Si ha pietà di un folle; ma quando la demenza diviene furore, lo si lega. La tolleranza, che è una virtù, sarebbe in quel caso un vizio”. Il resto dell’opera mira a spiegare che Rousseau, appunto, è un caso di furore. Il testo lo qualifica come “demente”, “traditore”, “calunniatore”. Nel finale, il sedicente pastore chiarisce quale punizione abbia in mente: “Occorre insegnargli che se si punisce leggermente un romanziere empio, si punisce con la morte un vile sedizioso”.
Le sentiment des citoyens produsse il suo effetto, non solo a Ginevra: le Lettere furono bruciate in tutta Europa. Lo stesso Principato di Neuchatel, che aveva protetto Rousseau, emise una condanna. Rousseau dovette abbandonare anche Motiers: e le autorità cittadine fecero murare la sua casa, così che non potesse tornarci. Rousseau trovò infine rifugio presso David Hume, in Inghilterra.
L’autore di Le sentiment des citoyens restò segreto.
In seguito, Voltaire negò sempre i fatti. In una lettera del 1766 a Lullin, segretario di Stato a Ginevra, Voltaire scrisse: “Non sono per nulla amico del signor Rousseau, dico ad alta voce ciò che penso di buono o di cattivo delle sue opere; ma, avessi fatto il torto più piccolo alla sua persona, fossi servito a opprimere un uomo di lettere, me ne sentirei troppo colpevole”.
18 commenti:
Bisognerebbe, tuttavia, aggiungere che Voltaire non odiava soltanto le opere di Rousseau: Voltaire odiava Rousseau come persona.
Senza dubbio, anche se Voltaire fu un vero bastardo verso molti altri colleghi. Di pamphlet anonimi contro gli avversari ne scrisse parecchi. Ciò nonostante sono convinto che, quando invocava la tolleranza universale, Voltaire fosse sincero. E' la complessità delle persone che mi interessa.
Proprio per questo, l'esempio di Rousseau mi ha lasciato un po' perplesso: dopotutto, i due da un sacco di tempo gareggiavano a chi la faceva più sporca all'altro.
Sì, ma c'era una sproporzione di forze. Da un certo punto in poi, Voltaire divenne un personaggio autorevole e connesso con molte corti d'Europa. Rousseau fu sempre un isolato, intellettualmente e politicamente: Voltaire aveva ben poco da temere da lui. Le stesse vicende ginevrine ne sono una dimostrazione.
Grazie Nicola... è molto carino questo tuo post. E leggerlo mi fa sentire molto meglio di quando ho scoperto questo stamane (ne sono rimasta molto male, non te lo nascondo):
http://guypizzinelli.blogspot.com/2006/07/vengeance-is-ours.html
PS: Il mio cervello ti ringrazia di averlo fatto ruotare in un modo cosi' bello. Il vostro blog è una bella giostra. Complimenti a tutti e quattro
Grazie Kin per i complimenti. Immagino che ci sia un nesso fra Voltaire e il post che segnali, anche se non riesco a scorgerlo.
Voltaire, Rousseau... evocati cosi' bene da te è commuovente. Sei professore?
E' stato una madeleine de Proust per me di leggere quel episodio (mi hai fatto ringiovanire e pensare alla mia professoressa di francese dell'epoca). Non ha niente legame con l'altro soggetto te lo concedo e scusami per il paragone, la sola cosa è che ho letto l'altro prima e mi sono sentita malissimo e triste... Ho letto il tuo e le lacrime se ne sono andate via... E il mio cervello si è sentito meno scemo ;-) e sollevato
Bene, pensavo di non aver fatto fare bella figura né a Voltaire nè a Rousseau, ma sono felice che invece ti abbiano fatto un buon effetto. Ma tu sei francese, giusto?
Si, non buttarmi pero i pomodori in faccia ti prego ;-) Quella polemica tra la Francia e l'Italia mi fa rimanere triste. Io vi adoro
Ma quali pomodori. Non seguo il calcio ma, fosse per me, avrei approfittato della finale mondiale per mandare fiori e messaggi galanti a tutte le amiche francesi.
Tutte? Ne hai tante? ;-)
Sei un Signore, si sente.
Eh, no, era così per dire. Non ne conosco neanche una, di francese. Beh, a parte la mia vicina del piano di sotto, ma non la vedo mai.
Non sei la mia vicina del piano di sotto, vero?
No, sono solo la vicina di dietro lo schermo.
Adesso puoi dire che conosci la vicina del condominio E la lettrice Kin ;-)
Felice di aver fatto conoscenza, allora. ;-)
Felicità mia, sono a casa tua e mi sono invitata da sola. Grazie per l'ospitalità
Hey, ma quindi è così che finisce!
Che storia. Una bella carogna, 'sto Voltaire.
E' vero, ti avevo lasciata con la vicenda scritta a metà. Beh, anche l'inizio è un poco diverso, adesso.
Grazie Nicola mi sei stato molto utile per il mio esame di Letteratura Francese II ;)
Carla
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