08 febbraio 2006

Recensioni: "Match point", di Woody Allen

Cinema

Odeon, Milano, Sala 4. Come sempre all'Odeon, ci pigiamo come alici davanti ai cordoni che separano l'atrio dalle sale. Gli spettatori di ben quattro film, gli uni sopra gli altri, attendono che un addetto dalla voce bassa annunci la sala che può entrare. "Otto", dice, e in fondo nessuno sente. "Cinque", stessa storia. Basterebbe un cartello luminoso col numero. Fra la folla si diffonde il malcontento. Noi ci uniamo alle lamentele, anzi, sobilliamo. Poi lasciamo cadere lì che, eh, guarda un po', anche l'Odeon appartiene al nostro Presidente del Consiglio. D'altronde, siamo in campagna elettorale.

Trama

Londra. Chris Wilton è un ex giocatore di tennis professionista. Assunto come istruttore in un circolo esclusivo, stringe amicizia con Tom Hewett, un ricco rampollo di buona famiglia. Nella residenza degli Hewett, Chris conosce due donne: Chloe, sorella di Tom e ansiosa di maternità, e Nola, l'intrigante fidanzata di Tom. Chris sposa Chloe e diventa l'amante di Nola. Quando Nola resta incinta, Chris è costretto a scegliere.

Cosa funziona

Il ruolo del caso: convincente. I piccoli avvenimenti che possono cambiare la nostra vita non sono un tema nuovo al cinema (vedi, per esempio, Sliding Doors). Qui, il simbolo del caso è la pallina da tennis che, colpito il nastro della rete, può decidere la partita cadendo da una parte o dall'altra del campo. Allen intreccia bene il simbolo alla vicenda e lo risolve in un episodio finale parallelo (con protagonista una vera di nozze). Carino, e molto alleniano, il ribaltamento di "Delitto e castigo": Chris legge il romanzo all'inizio nel film, poi un giovane uccide due donne (il delitto di Raskolnikov), il finale dimostra che il castigo non è così ineluttabile come pensava Dostoevskij.

Scarlett Johansson (Nola): progredisce. Continua a insistere sulle facce dubbiose (il suo cavallo di battaglia), ma propone più varietà espressiva del solito. Brava come ubriaca. Perde quota nella seconda parte, quando Allen trasforma Nola nel personaggio femminile nevrotico che appare in molti suoi film.

Emily Mortimer (Chloe): molto brava. Interpreta uno stereotipo (giovane borghese vivace ma insicura che sogna un marito e tanti bambini), ma lo anima con tanti piccoli gesti e dettagli.

Matthew Good (Chris): molto bravo. Interpreta anche lui uno stereotipo (giovane ricco brillante ma vuoto, diviso fra le tentazioni di viveur e il richiamo degli obblighi di casta). A sua volta, lo rende credibile.

Le case, i divani, i cuscini a mezzo punto: se avete interessi di arredamento, i film di Allen valgono sempre il prezzo del biglietto.

La regia: senza pecca. Allen è un ottimo regista da interni. Spesso negli interni il regista, anche quello bravo, piazza i personaggi su un divano e poi li fa parlare. Allen, invece, li fa muovere negli spazi, raggruppandoli e dividendoli secondo le esigenze drammatiche.

Cosa non funziona

Jonathan Rhys Meyers (Chris): uno stoccafisso. Incapace di esprimere gradazioni, passa da facce serene a facce disperate, da facce perverse a sorrisi da seminarista. Sembra ubbidire alle istruzioni senza capire molto di ciò che fa. Privo di carisma, non si capisce perché nel film faccia colpo su tutti. Questo è un problema frequente dei film di Allen (dove Allen stesso ha sempre un fascino irresistibile sulle donne)

La storia: molto prevedibile. Prevedi con mezz'ora di anticipo tutti gli avvenimenti. L'unica sorpresa arriva con la faccenda della vera di nozze.

I dialoghi: sbrigativi. In passato, Allen ha preso schemi drammaturgici vecchissimi e li ha rivitalizzati con la sua abilità di scrittura. O, meglio, di microscrittura: la pennellata che rivela un ambiente sociale, il dialogo che crea la tensione fra i personaggi, le battute felici, ecc. In "Match point", invece, la microscrittura è piatta e scontata. E' come se tutto il film fosse un lungo traghettamento dalla scena della pallina a quella della vera di nozze: e, siccome i passaggi necessari sono molti, è come se Allen avesse ridotto i dialoghi al loro elemento funzionale (fare andare avanti la storia), senza prendersi cura di colorarli. Il risultato è che lo schema drammaturgico vecchissimo emerge come uno scheletro dalla sabbia. Come ha già notato Davide L. Malesi in una doppia recensione, non è una cosa bella da vedere.

Durata

Due ore, sembrano di più.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Io ho visto non tanto un traghettamento dalla scena della pallina a quella della vera, ma l'esposizione di tutte le volte che nella vita di Chirs la pallina cade dalla parte giusta; rendere percepibile e "credibile" la fortuna di un uomo costruita nei suoi punti salienti solo dal fato benevolo.
L'unica volta che Chris prende una decisione con le sue mani e dà una direzione alla propria vita, si ficca in inenarrabili casini sui quali alla fine dei giochi non avrà il minimo controllo. Sara sempre tutto palesemente, e non senza una certa forzosa evidenza, in mano alla fortuna.
Il modo in cui la sorpresa finale risolve tutto senza questa preparazione sarebbe totalmente eccessiva e incredibile.

Il che, comunque, non aiuta certo a nascondere il senso di attesa (anzi lo amplifica) verso qualcosa che arriverà solo a film quasi finito, nè lo "scheletro che emerge dalla sabbia".

Mi chiedo se il problema della microscrittura possa derivare dalla sottile differenza rispetto ai suoi scenari consueti dell'ambiente britannico descritto in Match Point.

Decisamente gli è venuto meglio crimini e misfatti, dove il tema è il senso di colpa e non il culo. Per cui non c'è bisogno di costruire nulla e tutto arriva al momento giusto.

Anonimo ha detto...

Sì, senz'altro c'è anche un ripetuto cadere della pallina dalla parte di Chris. Poi, ecco, come botta di fortuna, quella della vera spicca parecchio per dimensioni. D'accordo anche sulle forzature di sceneggiatura (fra l'altro, mi sono dimenticato di dire che l'omicidio è organizzato in modo troppo sciocco per essere credibile). Sulla microscrittura di Allen, probabilmente hai ragione a dire che l'aria di Londra non l'ha aiutato, ma è anche vero che è da parecchi film che sembra stanco.

Anonimo ha detto...

Allen s'è guadagnato gli allori più e più volte.
Concordo sostanzialmente sulla critica verso gli ultimi lavori sfornati (giaccio in attesa da Harry a pezzi in poi), ma non posso non considerare che un autore prolifico quanto Allen tenderà necessariamente ad infilare risutati mediocri con più frequenza, che so, di un Pontecorvo o un Malick.

Mi chiedo se ad Allen gioverebbe darsi una calmata e rallentare un pò il ritmo; in compenso non credo che rallenterà il passo, sono decenni che ne caccia fuori praticamente uno all'anno.

P.S: Il commento musicale. Io non apprezzo l'opera, sono decisamente un sinfonico per cui la mia opinione è durevole quanto un fiocco di neve in libia. Comunque sia, l'Otello durante l'omicidio mi pare un pò fuoritema in un generale insimeme di coerenza relativamente solida.

Anonimo ha detto...

Io sono rimasto assai infastidito da tutti quei personaggi stereotipati (alla lista degli stereotipi aggiungerei il resto della famiglia Hewitt), come ho scritto qui

http://licenziamentodelpoeta.splinder.com/post/7082669

Comunque, sei stato ben più generoso di me :))))

Anonimo ha detto...

Loforestieroprolisso, io di lirica non capisco niente, ma di quel tenore dalla voce luttuosa avrei fatto proprio a meno. Ammesso che fosse un tenore.
Davide, è vero, sono stato più generoso. Uno dei motivi per cui uso il metodo "Cose che funzionano / che non funzionano" è costringere me stesso a chiedermi se non ci sia qualcosa di buono. E siccome Allen resta un bravo artigiano del cinema, qualcosa di buono non potevo non trovarlo. Aggiungo al post il tuo secondo link.

Anonimo ha detto...

Beh, sostanzialmente sono d'accordo con te. Rhys Meyers non dà spessore al personaggio, non sembra propriamente convinto di quello che sta facendo. Io ho avuto l'impressione che, a differenza di Chris, lui volesse continuare a spupazzarsi la Johansson mentre la sceneggiatura lo costringeva a farla fuori.

L'esito della storia, per me che avevo visto Crimini e Misfatti qualche mese prima, era scontato.

I dialoghi non sono brillanti, è vero. Allen in passato ha saputo fare DECISAMENTE molto di meglio. Le frasi dei suoi vecchi film le ricordo a memoria. Qui faccio fatica a ricordarne una che fosse una (a parte certo quella di apertura che è decisamente degna di lode. Il fatto che buona parte della nostra vita sia dovuta al caso spaventa la gente. E' angoscioso dirsi che una tale quantità di cose sfuggono al nostro controllo )

Però sono d'accordo anche sui vari "cosa funziona". Ed è questo il bello, Rodolfo, che io spesso sono concordo con la tua analisi oggettiva, però ne traggo un'opinione soggettivamente diversa. Dipende, ovviamente, dal peso che si dà ai diversi punti. Diciamo che dalla mia media ponderata viene fuori un giudizio meno severo.

Anonimo ha detto...

Gab, se permetti la battuta, come fai a sapere quale sia la mia opinione soggettiva? Se c'è solo l'analisi oggettiva... Diciamo che la mia impressione soggettiva è di un film grazioso ed elegante come sono sempre i film di Allen, ma che non mi ha creato nessun tipo di coinvolgimento.
Ok, forse si capiva.

Anonimo ha detto...

Sono senz'altro d'accordo sul "cosa funziona". Un po' meno sul "cosa non funziona". Rhys Meyers non è così alienato dal ruolo: davvero avrebbe dovuto "esprimere gradazioni"?
La storia, secondo me, è volutamente prevedibile: solo in questo senso la vera di nozze può giocare il ruolo del caso che stravolge l'esistenza.
I dialoghi sono meno brillanti del solito, è vero. Ma anche questo sottolinea una certa banalità dei personaggi, che è voluta.

"Due ore, sembrano di più". Vero: il passaggio dalla pallina alla vera poteva essere più rapido, senza che il film perdesse di senso.

Saluti

Anonimo ha detto...

Sì, secondo me, qualche gradazione sarebbe stata necessaria. Per esempio, quando Chris tenta di dire alla moglie che intende lasciarla. Lì, se RM fosse stato un attore bravo, un po' di combattiamento interiore lo avrebbe fatto emergere. Sono poi un po' perplesso da quanto dici sulla storia "volutamente" prevedibile, la banalità "voluta" dei personaggi, i dialoghi meno brillanti "per sottolineare" la banalità... può darsi che ciò significhi che, semplicemente, Allen non ha voluto le cose giuste?