Stamattina, leggendo Repubblica, sono sobbalzata sulla sedia:
... tra i principi di civiltà c'è anche l'assoluto rispetto delle religioni altrui. E quando dico "assoluto" mi riferisco al fatto che la religione, siccome affonda le sue radici nella parte pre-razionale di ciascuno di noi, dove è anche la matrice della nostra identità e della nostra appartenenza, se non vogliamo offendere questa matrice, nei confronti della religione propria e altrui dobbiamo avere tutti il massimo rispetto.
Sono parole di Umberto Galimberti, filosofo residente del giornale. Intanto, mi colpisce la sintassi involuta e l'uso caotico dei pronomi: che razza di struttura è "dobbiamo avere rispetto della religione propria"? Ma, soprattutto, mi colpisce la raffica di assunzioni. Galimberti sembra dire:
1) Che la religione affonda le radici nella parte pre-razionale degli esseri umani. Io penso sia vero, ma non avrei avuto il fegato di dirlo così. Dal mio punto di vista, equivale a dire che i credenti che sono stupidi.
2) Che ciò che affonda le radici nella parte pre-razionale merita rispetto assoluto. Qui non sono d'accordo. La mia opinione, per quel che conta, è che sia meglio vagliare. Da alcune cose pre-razionali cerco di guardarmi (odio e paura, per dire). Comunque, mi stupisce che Galimberti la presenti come una verità apodittica. Aristotele e Kant, che credevano che la parte razionale fosse quella migliore, non meritano uno straccio di risposta?
3) Che il rispetto debba essere assoluto. Galimberti lo ripete due volte. Se avesse detto "rispetto" e basta, avrei creduto che invocasse qualche conciliazione fra la libertà di esprimersi e i sentimenti religiosi. Cosa su cui sono pronta a negoziare. "Assoluto", invece, significa "in tutti i casi". Ne segue che, per esempio, Voltaire non avrebbe mai dovuto scrivere le pagine dove si fa beffe delle religioni storiche. Ossia, non avrebbe dovuto pubblicare quasi nulla.
Ma non solo. In virtù del pre-razionale, un musulmano può sentirsi offeso dalla mia minigonna. Secondo Galimberti, io devo un rispetto assoluto a questa reazione: quindi, invece che invitarlo a guardare sua sorella, devo adeguare il mio abbigliamento, per aiutare il poveretto a tenere casti i suoi pensieri. Mi direte che Galimberti senz'altro non intendeva questo. Va bene, ma perché allora ha scritto "assoluto"?
4) Che la matrice della nostra identità è pre-razionale. Mi stupisco di nuovo, anche se di meno: l'idea che la nostra identità si basi sull'appartenenza, o su non altrimenti specificati sentimenti di gruppo, oggi è diffusa. Non capisco perché nessuno noti la grande povertà di questa teoria identitaria. Basare la propria identità sull'essere cattolico, musulmano, padano, tifoso della Roma, o anche padre di famiglia, significa essere contenti di descrivere se stessi con un aggettivo. Felicitarsi di possedere un tratto che hanno milioni di altre persone. Andare orgogliosi di essere un "qualcosa" (domanda: "chi sei?"; risposta: "un padano"). Io, quando penso all'identità, vorrei essere "qualcuno" (avere una vicenda personale da raccontare).
Al di là delle opinioni personali, non mi metto a discutere nel merito queste idee di Galimberti. Non le avrei neppure citate se, in questi giorni di dibattito su Maometto, non mi sembrassero un esempio, grossolano, e quindi più evidente, di un'ampia ritirata dei nostri intellettuali. Sempre pronti, quando serve, a fregiarsi delle medaglie della ragione. Sempre i primi, come ai bei tempi di ottant'anni fa, a sentire il fascino delle forze che la ragione se la mettono sotto i piedi.
10 commenti:
Però, insomma, lo racconti un pò come ti piace l'articolo di Galimberti. Sostiene (vado a memoria) che da tutto ciò non deriva che l'occidente ha torto e l'islam ha ragione, nel caso in questione. Solo, mi pare ci inviti a comprendere che la ragione delle loro reazioni sta probabilmente nel fatto che devono ancora compiere un tratto di cammino per conquistarsi una idea di sè un pò più laica. Galimberti ricorda la situazione dell'occidente prima dell'età dei lumi (appunto) quando tra crociate, inquisizione etcetc dal pre-razionale non si era usciti e si faceva una figura non dissimile dall'islam attuale, anzi. Insomma, direi che G. prova a suggerire (fatta salva la condanna alle reazioni, che non citi) la strada della comprensione piuttosto che quella dello scontro frontale. Se poi questo sia un calarsi le braghe non lo so, mi sembra una frase un po' da Borghezio.
Caro Mucho Maas, io mi sono dedicata solo alla premessa antropologica che Galimberti ha posto a cappello del suo articolo (il pezzo che cito sta nel secondo paragrafo). Rileggendola, non mi sembra proprio di fare dire a Galimberti cose che non ha detto. Noto anche che, in quel punto, Galimberti ha appena finito di dire "non sono d'accordo" riguardo a questa frase (di Jean Daniel):
"Le caricature del giornale danese possono essere condannate in nome dell'arte o della SENSIBILITA' (maiuscolo mio), ma non si possono vietare in nome dei principi di civiltà".
Nel mio italiano quel "non sono d'accordo" significa: "vignette simili vanno vietate". Altrimenti su cosa non è d'accordo?
Noto anche che sparare le bordate all'inizio e poi attenuare nel seguito è una vecchia tattica.
Per comodità di tutti, linko l'intero articolo (file tiff).
In effetti messa così è difficilmente difendibile. Quello che a me ha colpito positivamente dell'articolo era lo sforzo di ricomposizione. Il fatto di poter "vietare qualche forma di espressione nel nome di principi di civiltà" è sicuramente opinabile, ma non c'è qualcosa di simile tollerato e auspicato per quanto riguarda altri esempi? Adesso mi caccio umilmente in un ginepraio, ma le sanzioni al saluto romano dello sciocco giocatore o la condanna delle dichiarazioni razziste, o dell'istigazione a delinquere, non fanno parte dello stesso tipo di "divieto"?
Beh, secondo me il caso Di Canio è facile. I saluti romani sono leciti (al funerale di Romano Mussolini ne ho visti una selva). Esprimono ammirazione e fedeltà al fascismo (cioè, stupidità, per quanto mi riguarda), ma non vedo perché si dovrebbe proibirli. Farli in uno stadio, per un giocatore professionista, significa fare politica sul lavoro. Cosa che il tuo datore di lavoro può concederti o no a secondo di com'è il tuo contratto. Se non sbaglio, Di Canio ha avuto solo sanzioni sportive (cioè, privatistiche).
Tutta la mia tirata su Galimberti verte su questo punto: che lui invece tenta di proibire. O, almeno, fornisce basi intellettuali per giustificare una proibizione. C'è qualcosa che merita rispetto "assoluto", dice. Ossia, qualcosa che ha un priorità (per definizione, l'assoluto si impone in tutti i casi). E se ha la prorità, nel momento in cui questo qualcosa entra in conflitto con altri valori, questi valori devono soccombere. Infatti, dice, non si possono invocare i principi di civiltà per difendere le vignette. Se non si rende conto delle implicazioni, e crede di poter cavarsela con dichiarazioni concilianti, allora Galimberti è un filosofo ancora peggiore di quanto sembri nel mio post.
Poi, mi rendo conto che uno abbia voglia di cercare un modus vivendi con la religione (come avrai visto, ho scritto che sono anch'io pronta a negoziare, e in un post precedente mi sono procurata rimproveri per avere scritto che "è brutto offendere la religione"; qualcun altro, in riferimento allo stesso post, mi ha invece paragonata alla Fallaci; poi tu adesso a Borghezio). Ma, secondo me, ci si può stringere la mano e, allo stesso tempo, tenere fermi i principi. E, sarò maliziosa, bisogna anche insospettirsi un po' di tutta questa improvvisa solidarietà ai musulmani. Quando i vescovi dicono "inaccettabile la violenza, ma i sentimenti religiosi vanno rispettati", io mi preoccupo di dove questo discorso vada a parare.
Sì, i nostri intellettuali sono delle femminucce.
e specialmente sui tuoi sospetti siamo d'accordo, sono anche i miei, come ho accennato nei miei post.
Il modo in cui ho interpretato il discorso di galimberti era più in chiave personale: forse ognuno di noi dovrebbe provare un assoluto rispetto (io, sia chiaro, per ora non ne ho nemmeno un'oncia) verso i sentimenti religiosi in quanto etcetcetc. Non mi sembra intenda che questo dovrebbe tradursi in un "divieto assoluto alla satira sulla religione" imposto dal legislatore o chi per lui(e in ogni caso riconosce nostro principio "supremo di civiltà" la frase di Voltaire: ontologicamente vince l'assoluto o il supremo?).
Nel contesto di cui si parla, è ovvio che un organo di stampa sia libero di esprimersi. Forse è un tantino più discutibile che di fronte alla reazione scomposta, retrograda, intollerante e integralista, la provocazione iterata e urlata (che in prima istanza è anche la mia) sia sembrata l'unica scelta possibile. Il ribadire valori di libertà(sacrosanti) come se si fosse accerchiati, da parte di un'occidente che di norma delle libertà altrui decide se e come interessarsi con discrezione pittosto discutibile, ha davvero un senso?
Non so, probabilmente Galimberti ha toccato nei nostri casi corde diverse: a te ha dato fastidio il divieto, a me ha dato fastidio riconoscere la mia reazione di rabbia nei confronti dell'altro, così diverso.
Per chiudere il cerchio, noto quanto sia drammatico (e sospettoso!) anche il fatto che chi ribadisce le ragioni della ragione si trovi in compagnia della Fallaci e di Borghezio, (specularmente alla bieca compagnia nella quale si trovano coloro che ragionano di dialogo e tolleranza: le gerarchie di una religione integralista).
Tommaso: femminucce mi sembra una parola grossa. Tieni conto che mi hanno dato del "Borghezio" solo per avere parlato di braghe che calano. :-)
Mucho Maas: è verissimo che il divieto mi ha colpito molto. Ho anche detto che sono balzata sulla sedia. Sottolineo pure che il divieto implicito non l'ho notato solo io. Quanto alla provocazione urlata, io non l'ho mica vista. OK, posso riconoscere che France Soir poteva fare a meno di ripubblicare a distanza di mesi quelle vignette. Ma, secondo te, se il proprietario del giornale non avesse licenziato il direttore, il caso sarebbe scoppiato? E, tanto per essere sempre più sospettosi, a chi poteva giovare buttare fuoco sulla vicenda? Sulle cattive compagnie, non piacciono neanche a me. Ma, dovessimo decidere cosa dire e cosa fare in funzione di dove si posizionano gli altri, avremmo smesso di pensare con la nostra testa, no?
non so, a me vedere le compagnie di solito serve a pensare se e come sto usando la mia testa, mi serve a capire se magari mi sto lasciando tentare da qualche scorciatoia ideologica (nel senso proprio di "falsa coscienza"). Per quanto riguarda la stroncatura di LS all'articolo di galimberti, beh, mi è sembrata abbastanza trancant, messa lì quella frase fuori contesto. E riguardo il licenziamento non so, davvero in questi giorni tutto sembra così fuori misura e controllo che non so.
Beh, sulle compagnie l'importante è solo non farsi condizionare. Comunque anch'io, per dire, che ho sempre considerato Galimberti una cattiva compagnia, mi sono sentita incoraggiata nel vederlo dalla parte opposta.
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