24 febbraio 2006

Di nuovo su Dennett

Massimo Adinolfi oggi gentilmente risponde al mio post su Dennett. Scopro con piacere che Massimo non sposava le tesi (naif, secondo me) del recensore Wieseltier, ma solo l'inizio del pezzo di questi. Comunque, Massimo ribadisce che una cosa è molto importante: quando si studia una credenza, bisogna presentarla come la presenterebbe il credente. Dice Massimo:

Se io credo che un asino voli ora sopra la mia testa, mi pare che chiunque voglia dare ragione di come mi sia potuta formare questa credenza debba spiegare proprio questo: che io credo (o dico di credere): che un asino vola.

Secondo Massimo, Dennett fallisce il test: la sua definizione della religione non corrisponde a ciò che credono i credenti. Qui Massimo non lo seguo. La definizione di religione di Dennett è:

... sistemi sociali i cui partecipanti professano la credenza in uno o più agenti soprannaturali, dei quali si cerca l'approvazione.

Dennett sta dicendo: la religione è vissuta in gruppo, i credenti credono in un dio o vari dei trascendenti, i credenti pensano che questi dei li osservino e li giudichino. Bene, a me questo sembra esattamente ciò che le religioni hanno in comune (con la possibile eccezione del buddismo). E mi sembra che la definizione rifletta bene ciò che, in generale, credono i credenti: c'è un dio, è trascendente, si occupa di noi.

Massimo dice che la definizione "non è adeguata", e sostiene di averlo mostrato "al punto 1", ma non trovo argomenti in proposito né al punto 1 né altrove. Provate a cercare anche voi. Tutto ciò che trovo è Massimo che dice che gli storici della religione potrebbero spiegare la credenza religiosa in modo diverso:

Ovviamente, nessuno impedisce a Dennett di dire che vuole spiegare questo genere di credenza, ma nessuno impedisce allo storico della religione di osservare che non è in questi termini che si presenta la credenza religiosa, e che dunque quel che Dennett spiega meravigliosamente è un’altra cosa.

Ma Dennett non vuole studiare le credenze degli storici della religione: vuole appunto studiare le credenze dei credenti comuni.

Poi Massimo mi chiede:

Tuttavia mi domando se Angelita e Dennett ritengano che una spiegazione naturalistica della credenza religiosa dimostri alcunché quanto al contenuto di quella credenza e se per loro una tale spiegazione infici o non infici quella credenza.

Per quanto riguarda me, no, non credo che la infici. Anche se Dennett riuscisse a dimostrare che la credenza in Dio è causata dai geni, quella credenza potrebbe comunque essere vera. Questo è chiarissimo. Sul piano logico, niente vieta a una credenza di essere vera "per sbaglio".

Ma è altrettanto chiaro che se Dennett dimostrasse che la credenza in Dio è dovuta ai geni, la credenza sarebbe, scusate il pasticcio, meno credibile. Ciò consegue a un principio epistemologico piuttosto ovvio, che non saprei spiegare meglio di come fa Brian Leiter nella sua critica di Wieseltier (che citavo nel mio vecchio post):

... Il signor Wieseltier si lamenta:

"Sarà chiaro come l'approccio di Dennett alla religione sia costruito per sottrarsi alla sostanza della religione. Dennett pensa che un'indagine della credenza sia resa superflua da un'indagine del credere la credenza. Questo è un errore molto significativo. Non potete smentire una credenza a meno che non ne smentiate il contenuto."

E' vero che non potete dimostrare falsa una credenza spiegandone l'origine, ma è chiaro che spiegandone l'origine potete mostrare che quella credenza non è giustificata (questo è un punto importante di cui mi sono occupato altrove). Se credete che comprare le azioni di High Tech Miracle, Inc. sia un buon investimento sulla base del consiglio del vostro broker, e poi scoprite che il vostro broker ve lo ha consigliato perché è un investitore in quella società e beneficerà del rialzo dei prezzi del titolo, non avete più ragione di credere che sia un buon investimento - anche se l'investimento potrebbe dimostrarsi buono, naturalmente, ma non siete più giustificati nel crederlo. Hume, Nietzsche, Marx, Dennett e molti altri sfruttano questo tipo di argomento senza commettere alcun errore, per non dire abbandonare la "ragione", come il signor Wieseltier [...] sostiene.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Sul punto 1

"sistemi sociali i cui partecipanti professano la credenza in uno o più agenti soprannaturali, dei quali si cerca l'approvazione"
È una descrizione da esterno, fornita da un non credente.
Dal momento che sono anche io un non-credente, non so bene come poter migliorare la cosa. Però ho letto la (alcuni brani della) Fenomenologia della vita religiosa di Heidegger, dove vengono analizzati le lettere di San Paolo. Si parla di attesa, di fede nel senso di fiducia. Tutte cose che non ci sono in un agente soprannaturale giudice e guardone.

Sul punto 2

L'esistenza di Dio e i consigli del broker sono cose molto diverse (Marcinkus a parte).
Il gene della religiosità, come è già stato osservato, può semplicemente essere interpretato come la versione moderna della predestinazione (avrebbero ragione i protestanti e torto i cattolici, ma questo è un altro discorso).
Dio è inteso come principio o forma del mondo e dell'esistenza, qualsiasi spiegazione naturalistica della sua credenza può tranquillamente essere letta come manifestazione di Dio.

Come Massimo, sono per la separazione delle carriere: ai problemi filosofici risposte filosofiche, ai problemi scientifici, risposte scientifiche.

Anonimo ha detto...

La linea mi cade in continuazione e mi riesce difficile seguire il web. Scrivo in fretta e al volo.
Sul primo punto: quel che non hai trovato in effetti l'ho dato per scontato. I greci credevano negli dei, ma non avrebbero mai definito nessuno degli dei un agente soprannaturale. Anche in era cristiana, la cosa non va affatto da sè ma suppone almeno la rottura rappresentata dal mooerno concetto di natura.
Quanto all'origine e ai geni, credi che ci siano cristiani i quali pensano che non vi siano tracce cerebrali del loro credere in Dio? O che rifiuterebbero per principio che questa implementazione cerebrale della fede sia stata selezionata nel corso dell'evoluzione? Se tu gli cncedi che questo non inficia, perché non dovebbero dire: bene, siamo d'accordo? E a quale altra spiegazione toglie credibilità la spiegazione naturalistica di Dennett? Alla fede come dono di Dio? Credi che un cristiano il quale pensi che la fede sia un dono di Dio esclude che abbia una base biologica?
ciao.

Anonimo ha detto...

Sul punto 1:
Mai dai dare qualcosa per scontato, in filosofia!
Il problema non è tanto che, mancando il moderno concetto di natura, i greci o Agostino si troverebbero a disagio con un agente soprannaturale; piuttosto è la dimensione di fiducia, di attesa, di "principio del significato del mondo" che manca nella definizione di Dennett (ma poi sarà davvero la definizione di Dennett? Qualcuno ha letto il libro in questione?).

Sul punto 2:
Che vi siano tracce cerebrali, ad esempio, del mio desiderio di bere del tè, non è certo una verità sconvolgente che inficia o destabilizza il gusto del tè verde alla menta. Però è un fatto ininfluente, a meno di non condurre un esperimento più o meno utile di neurofisiologia. Tu descriveresti una partita di calcio limitandoti al consumo di calorie dei muscoli dell'arbitro, o troveresti questi dati limitati? Credo la seconda, e trovare limitato qualcosa non significa sostenere che sia falso o inesistente.

Anonimo ha detto...

Grazie delle osservazioni.
Per Ivo Silvestro:
1) Punto 1. Non è una definizione da non credente. E' soltanto una definizione che non prende impegni circa la verità della credenza. Su Heidegger, ce ne vuole a dire che il Dio di San Paolo non è giudicante! "O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio." Corinzi, 1, 6.
Punto 2. Nice try. Ma sai anche tu i principi epistemologici non cambiano a seconda del contenuto della credenza. O meglio, per pensare che cambino bisogna appunto essere credenti (conoscenza di Dio via fede, ecc.).
2) Punto 1. Non credo che Dennett si opporrebbe ad aggiungere "dio è visto come fonte di senso" alla definizione. Sottolineo che non si tratta di una definizione assiomatica, da cui trarre conclusioni per via deduttiva. Non è essenziale che sia completa. E' una caratterizzazione di un fenomeno empirico, un modo di indicarlo e di intendersi su ciò di cui si sta parlando.
Punto 2. Nice try again. Ma, come spiega Leiter, non si tratta di validità della credenza, ma di giustificazione. Se qualcuno dimostrasse che si può indurre il gusto del thé stimolando una certa area del cervello, è un fatto che il soggetto sottoposto all'esperimento, sentendo il gusto del thé, non avrebbe una base per dire che sta bevendo thé invece che acqua accompagnata dalla stimolazione cerebrale. O, per meglio dire, la sua credenza che si tratti di thé diventerebbe meno probabile (si potrebbe addirittura calcolare di quanto, via teorema di Bayes).
Per Massimo:
Dire "soprannaturale" non significa per forza prendere impegni sul concetto di natura. Per esempio, è essenziale all'idea di "dio" che nel dio ci sia qualcosa di non umano. Sostituisci "soprannaturale" con "sovrumano" e accomodiamo anche i greci.
Rispondo poi, un po' alla Zappa (solo per fare in fretta), alle tue domande:
"Quanto all'origine e ai geni, credi che ci siano cristiani i quali pensano che non vi siano tracce cerebrali del loro credere in Dio?" Sure. Ce ne sono a bizzeffe. Si chiama spiritualismo. E non parliamo del dualismo.
"O che rifiuterebbero per principio che questa implementazione cerebrale della fede sia stata selezionata nel corso dell'evoluzione?" Sure. Prendi i cristiani che credono all'intelligent design. Quelli neppure credono alla selezione naturale.
"Se tu gli concedi che questo non inficia, perché non dovebbero dire: bene, siamo d'accordo?" L'ho detto, c'è il problema epistemologico segnalato da Leiter.
"E a quale altra spiegazione toglie credibilità la spiegazione naturalistica di Dennett? Alla fede come dono di Dio?" Sure, e a tante altre. Per esempio: Hume che dice che traiamo l'idea dell'esistenza di un creatore dall'osservazione del creato.
"Credi che un cristiano il quale pensi che la fede sia un dono di Dio esclude che abbia una base biologica?" Sure.

Anonimo ha detto...

ce ne vuole a dire che il Dio di San Paolo non è giudicante!
Beh, Heidegger è famoso per le affermazioni paradossali! Comunque, quello che sostengo io (e ci vorrebbe uno studioso di Heidegger, cosa che io non sono, per sapere se è anche la sua opinione) è che questi aspetti non sono i più importanti e forse sono persino trascurabili. Comunque, ripeto che qui si sta discutendo di un testo (di Dennett) senza averlo neppure letto! Magari Dennett corregge o completa il tiro a metà libro e il recensore non lo dice o non se ne è accorto (vale ancora la legge che il recensore legge le prime e le ultime venti pagine del libro recensito, no?).

Se qualcuno dimostrasse che si può indurre il gusto del thé stimolando una certa area del cervello, è un fatto che il soggetto sottoposto all'esperimento, sentendo il gusto del thé, non avrebbe una base per dire che sta bevendo thé invece che acqua accompagnata dalla stimolazione cerebrale.
Complichiamo l'esempio, ti va?
Uno scanner, all'entrata del ristorante, sonda il cervello dei commensali e stabilisce quale cibo preferiscono in quel momento.
Supponiamo che noi due, oramai in pensione (non credo che una cosa del genere possa venire realizzata tanto presto), si vada a cena insieme per discutere del nuovo libro di Dennett terzo, e che lo scanner stabilisca che in quel momento ciò che voglio mangiare è un piatto di agnolotti seguito da brasato e polenta.
Quello scanner è forse in grado di spiegare il concetto di "piatto preferito"? Secondo me no: la domanda è concettuale, logica, filosofica, non empirica. Il piatto preferito non è una relazione empirica tra determinate configurazioni cerebrali e determinati ingredienti.
Ciò ovviamente non toglie che uno scanner del genere sarebbe una invenzione geniale, di incredibile utilità quando il cibo è esotico e non si ha la minima idea di come scegliere cosa mangiare.

Anonimo ha detto...

Ivo, non è importante quale sia la tua opinione, o quella di Heidegger. Va benissimo che tu creda che il giudizio divino sia un elemento trascurabile della religione. Quello che Dennett dice è che invece questo è un elemento importante della religiosità comune. Dei fedeli qualsiasi, musulmani, cristiani, buddisti (reincarnazione), pagani (ade), ecc. E io mi chiedo come si possa dargli torto.
Circa l'esperimento: complicalo pure ma, di nuovo, lo fai in funzione dei tuoi interessi (spiegare il concetto). Il mio esperimento parlava di tutt'altro (basi epistemologiche).

Anonimo ha detto...

Quello che Dennett dice è che invece questo è un elemento importante della religiosità comune. Dei fedeli qualsiasi, musulmani, cristiani, buddisti (reincarnazione), pagani (ade), ecc. E io mi chiedo come si possa dargli torto.
OK, mi sono lasciato trasportare da Heidegger: non ha descritto la religiosità in generale, ma quella specifica di alcuni cristiani probabilmente inventati da lui.
Però non mi sembra che Dennett se la cavi molto meglio.
Il meccanismo delle reincarnazioni è un giudizio divino? Giudizio sì, divino non saprei. E l'Ade? Qui abbiamo a che fare con numerosi dei locali, ognuno in lotta con l'altro, e il giudizio è molto diverso da quello cristiano o musulmano: Zeus è un gran maialone, e la punizione avviene se fai torto agli dei, non ad altri uomini. Poi Dennett parla di soprannaturale. Ma Dio, per il cristianesimo, è in cielo come in terra: più naturale di così! Zeus aveva dimora nel monte Olimpo, un luogo geografico ben stabilito. E sostituire soprannaturale con sovrumano non risolve molto: anche lo stato è, a ben vedere, sovrumano, ma non è religioso rispettare i limiti di velocità.
Insomma, un gran casino: la religiosità non si è evidentemente manifestata in una sola forma.

Sull'esperimento: a parte che ti sei giocata l'invito a cena (non perdi molto: sarebbe stato almeno tra quarant'anni), era proprio quello che volevo dire: le basi epistemologiche non interessano molto, se sei parla di concetti. E forse qui si parla, appunto, di concetti. O no?

Ho la sensazione che si sia arrivati ad un punto morto. E aspetterei di leggere Dennett prima di andare avanti.

Anonimo ha detto...

Carina quella sul sovrumano. Se poi non ti interessano le basi epistemologiche, beh, di che parleremmo a cena?

Anonimo ha detto...

Abbiamo quarant'anni per trovare altri argomenti: fino a che non inventano lo scanner del piatto preferito, non ti invito!