Ho scritto molto dell'ultimo libro di Daniel Dennett, appena uscito negli Stati Uniti. Per combinazione, in questi giorni è apparsa l'edizione italiana di un breve saggio di Dennett, "Da dove nascono le idee". Riporto, in modo del tutto abusivo, un articolo in proposito del Sole 24 Ore di domenica scorsa. L'articolo, "Così un filosofo può diventare scienziato", è di Armando Massarenti. Il titolo è fuorviante, perché mi pare che Dennett non voglia diventare uno scienziato, ma restare un filosofo: solo un filosofo più lucido e più utile al progresso della conoscenza. Non tutti, è chiaro, saranno d'accordo che Dennett stia sulla strada giusta.
Così un filosofo può diventare scienziato
Ecco un istruttivo mea culpa pronunciato da un pensatore a noi contemporaneo: «Noi filosofi vaghiamo, da un lato, tra la ristrettezza e l'ottusità di taluni pensieri rosicchiati e, dall'altro, tra visioni grandiose, ma imperfette. Il fatto che gli scienziati possano dimostrare piuttosto velocemente la correttezza o meno delle loro ipotesi rende queste ultime più solide e penetranti di quelle filosofiche».
Il filosofo in questione è uno dei più importanti del momento, l'americano Daniel Dennett. Ciò che racconta in Dove nascono le idee, un aureo volumetto appena pubblicato da Di Renzo, è, tra le altre cose, la storia esemplare di come un filosofo di vaglia si sia avvicinato alla scienza. Dopo aver pubblicato Brainstorms, alla fine degli anni Settanta, gli capitò di frequentare numerosi ricercatori nel campo delle scienze cognitive, «volenterosi, e addirittura entusiasti», di scambiare informazioni con lui. Così, racconta Dennett, «ho potuto accumulare, direttamente dalla voce dei più preparati, nozioni di linguistica, intelligenza artificiale, psicologia, neuroscienze e biologia dell'evoluzione». Gli scienziati, dal canto loro, benché fossero «inizialmente restii o indifferenti alla filosofia, si lasciarono poi trasportare volentieri nell'ambito delle "grandi questioni della vita", cercando a volte di contribuirvi con qualche loro opinione personale». Un filosofo di professione avrebbe potuto aiutarli ad approfondirle e a renderle più sistematiche. Ma, ancora più importante, avrebbe cominciato a capire, come nel caso di Dennett, che «le idee partorite dalla scienza sono per loro natura più belle e piacevoli da contemplare di tante idee che s'incontrano nei periodici di filosofia». Fu così che la scienza entrò nella sua filosofia: «la mia visione circa il ruolo del filosofo si è andata gradualmente ridisegnando, con l'intento di fornire basi teoriche e chiarimenti concettuali che siano valutabili, empirici e scientifici». È il vecchio sogno di Quine, che non è mai stato tanto vicino dall'essere realizzato.
2 commenti:
Qui: http://www.prospectmagazine.co.uk/article_details.php?search_term=darwin&id=7365
un scambio di opinioni interessanti tra dennett e richard swinburne.
Grazie, è interessante. Rimango stupita di come tutti confondano la questione dello studio naturalistica della religione con il problema dell'esistenza (o della natura) di dio.
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