Cinema
Milano, Odeon, Sala 3. E’ la prima domenica senza auto della stagione: le strade si aprono ai podisti e ai ciclisti. I primi, abbondanti, ritoccano la preparazione per la maratona del 4 dicembre. I secondi, impauriti, rifiutano la libertà manco fossero gli schiavi di Manderlay: come nei giorni normali a Milano, viaggiano sui marciapiedi in mezzo ai pedoni. Questi ultimi, stupiti, indicano le strade vuote con gesti nervosi.
Trama
Silvia Broome è un’africana bianca interprete all’ONU. Mentre il palazzo è deserto, Silvia ascolta in cuffia una conversazione: due uomini parlano di un attentato a Zuwanie, il dittatore dello Stato immaginario di Matobo, che deve fare un discorso all’Assemblea. L’agente Keller, incaricato del caso, dapprima non le crede. Poi, una scia di delitti e attentati porterà alla luce l’intrigo e, allo stesso tempo, il passato nascosto di Silvia.
Cosa funziona
Nicole Kidman (Silvia): non ho il coraggio di criticarla. Come al solito è sobria e attenta. Senza essere Meryl Streep, è un’attrice brava. E però rovina ogni film col suo sguardo da creatura dei boschi. Troppo bella, e separata dai comuni mortali, cammina a due metri da terra sorvolando gli altri personaggi e la trama. Sarebbe in ruolo solo in qualche film sull’Olimpo.
Sean Penn (Keller): non ho il coraggio di criticarlo. Come al solito imita Robert de Niro ma, siccome lo fa bene, diamogli la sufficienza.
L’antica tradizione dei Matobo sugli assassini: istruttiva. Silvia narra che, quando catturano un assassino, i Matobo lo chiudono in prigione per un anno. Poi, in una cerimonia, lo buttano legato in un lago: a quel punto, i parenti della vittima scelgono se lasciarlo morire o tuffarsi in acqua per salvarlo. Nel primo caso avranno giustizia. Nel secondo scioglieranno il loro lutto.
Cosa non funziona
Il lato politico: abbozzato. C’è una volontà evidente di difendere l’ONU, e in generale la diplomazia, come armi per la risoluzione dei conflitti. Ma il tutto si limita a poche battute. E il tema scelto, quello dei dittatori in Africa, forse non è il migliore per mettere in buona luce l’ONU.
Il thriller: fiacco. Tutta la vicenda ruota intorno a un temuto attentato contro un personaggio che, si dibattesse nel lago, non solo lo lasceresti morire ma gli tireresti pure i sassolini. Ti riesce difficile essere molto in pensiero per lui. Contro le buone regole di un thriller, Silvia e Keller, i personaggi positivi, non sono mai in pericolo. Anzi, Silvia lo è, ma giusto cinque minuti.
La storia d’amore: inesistente. In teoria, fra Silvia e Keller dovrebbe scorrere una qualche tensione sessuale. Keller si capisce che ci fa un pensierino: ma ha troppo l’aria da sfigato. Mentre lei è una creatura dei boschi. Il due di picche cala inesorabile.
La regia: anonima. Dov’è finito il Pollack dei Tre giorni del condor?
Durata
Due ore e un quarto. Il film ha ritmo, ma ti annoi lo stesso. O almeno mi annoio io, perché alla fine della proiezione parte in sala un tentativo di applauso.
7 commenti:
Vabbè, "I tre giorni del condor" era un capolavoro ed era tratto da un gran bel romanzo. E poi quella era l'età dell'oro del thriller politico "impegnato", circolavano idee e passione civile. Oggi a Hollywood le idee sono finite (basti pensare alla quantità di remake che producono, e i film che non sono remake spesso cmq ricordano cose già viste) mentre la passione civile è meglio non dire che fine ha fatto.
Dopo tre giorni da condor, trent'anni da vigogna...
(Scusate, non ho resistito)
Davide, come non essere d'accordo.
Tom, lol, ma da dove salta fuori la vigogna?
Non sei l'unica ad esserti annoiata!
Sarà contenta a saperlo. La vigogna.
Sono pienamente d'accordo. Il post che ho pubblicato un paio di settimane fa sul mio blog diceva più o meno le stesse cose... Peccato, perchè secondo me questo film è un'occasione sprecata...
Sì, ma forse non avevano tanta voglia di cogliere l'occasione. Sapevano che i suoi incassi li avrebbe fatti anche così com'è.
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