Se penso alla morte, la prima cosa che so è che non avrò sentimenti. Sarò un cadavere, e il mio cadavere sarà polvere, a meno che io diventi così famoso che mi vogliano conservare imbalsamato come Lenin. Ma, anche in questo caso, forse vedrò i custodi scoperchiarmi l’urna per l’esposizione? Forse udrò gli schiamazzi delle scolaresche in visita? No, perché dentro il cadavere non ci sarò più.
Lucrezio, nel De rerum natura, dice che sai già com’è il nulla, perché sei stato nulla nell’epoca che precedette la tua nascita. E forse il nulla che fosti ti turba? O non ti lascia semmai del tutto indifferente? Allo stesso modo, secondo Lucrezio, ti dovrebbe lasciare indifferente il nulla che sarai. I secoli passati, dice, sono lo specchio del tuo futuro.
E come nel passato non sentimmo pena alcuna,
quando i Cartaginesi arrivavano a combattere da ogni parte […],
così, quando moriremo, quando sarà avvenuto il distacco
del corpo e dell'anima […], non potrà accaderci nulla.
Questo è dunque lo specchio dove la natura
ci presenta il tempo che seguirà la nostra morte.
Ma, penso, prima della nascita non eravamo mai stati: essere nulla non era una perdita. O meglio, ci perdevamo moltissime cose ma se, per assurdo, fossimo stati lì riflettere che eravamo nulla, col cruccio che ci stavamo perdendo qualcosa (“ecco, vedi, oggi ci sarebbe la battaglia di Canne…”), ci saremmo detti che però, un giorno, avremmo iniziato a godere i beni della vita. Nella morte accade il contrario: abbiamo i beni e, morendo, sappiamo che non li avremo più.
Scorro Lucrezio, e vedo che risponde alla mia obiezione. Se sei ricco, dice, è saggio custodire i tuoi averi, perché da povero patiresti la fame. O, se una donna ti ama, fai che sia felice e non ti abbandoni, perché rimasto solo la rimpiangeresti. Ma se la ricchezza o l’amore li perdi morendo, questa perdita non può darti pena. Perché, appunto, non sarai lì a penare.
Mai più, ora, la casa ti accoglierà in letizia, e né la sposa
ottima, né i dolci figli ti correranno incontro a contendersi
i primi baci […]. “A te misero miseramente” dicono “un solo giorno
avverso ha tolto tutti i molti doni della vita”.
Ma, in proposito, non aggiungono questo: “né più
il rimpianto di quelle cose ti accompagna e resta in te”.
Lucrezio sottolinea che la morte è come il sonno, uno stato in cui, in effetti, non è che ti viene voglia di essere sveglio.
Questo dunque a costui bisogna chiedere: che mai ci sia
di tanto amaro, se la cosa si riduce al sonno e alla quiete […].
In realtà nessuno sente la mancanza di sé stesso e della vita
quando la mente e il corpo riposano…
(De rerum natura, tutte le citazioni dal Libro III).
Leggendo, penso che Lucrezio ha ragione. Eppure, mi sembra, i casi sono due:
- o i beni della vita non valgono nulla, e allora morire non ci danneggia;
- o i beni della vita valgono, e allora a morire ci rimettiamo.
Se, come credo, i beni della vita valgono, non posso che odiare la morte. Da morto, è vero, non patirò. Ma, da vivo, se ho beni preziosi, perché non dovrei affliggermi pensando che li perderò? Certo, pensarci non serve, anzi, mi guasta le notti. Purtroppo, il pensarci o no non è in mio potere. Ogni giorno vedo gente che muore e ciò mi ricorda che non sono più immortale di loro. O, nello specchio, trovo i segni dell’età sul mio volto e so che cammino lungo una strada. Non mi rallegro forse del passato, se ho fatto qualcosa di buono? Non dovrei rattristarmi, se mi attende un futuro nullo?
7 commenti:
Aspetto con ansia 2/4, 3/4, ma soprattutto 4/4, dove attendo una soluzione al problema... perché è un problema!
complimenti per il post.
in questi ultimi mesi ho DOVUTO pensare alla morte e la odio (come te credo,) perché i beni della nostra vita valgono in quanto testimoni di quella capacità di sentire ( e amare, creare) che caratterizza ogni tipo di esistenza umana.
Anonimo, non ci saranno soluzioni.
Undine, sì, la odio.
Non c'è problema.
Se hai dei beni prezioni e ti duole il cuore al pensiero che un giorno li dovrai lasciare, vendi tutto e cin quei soldi goditi giorno dopo giorno, folleggia, viaggia, ama ogni giorno sempre come se fosse l'ultimo.
Elis, i miei beni preziosi sono appunto il folleggiare e l'amare. Sono quelli che mi dispiace perdere.
Ho seguito con interesse il tuo ragionamento. E devo dire che anche per me il pensiero della perdita totale porta ad un rattristamento. Ma non sono d'accordo su un passaggio: "il pensarci non è in mio potere". Sta proprio lì, a mio avviso, una possibile soluzione al problema: ricacciare il pensiero, liquidarlo con distacco. Proprio come fa la morte con noi, con la nostra vita e i beni (come li chiami tu) che possediamo.
LoverZ, hai ragione, ma purtroppo non tutte le fasi della vita sono uguali... Ci sono momenti in cui uno non può non pensarci. E comunque, per molti, pensarci può essere il modo di arrivare proprio a quello che dici tu: risolversi a liquidare con distacco.
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