VIVAISTA: Non ero preparato a vederti, Socrate. E’ un onore che mi fai, di venire al mio vivaio, oppure il sole del pomeriggio ti affligge tanto da cercare un rifugio qui, perché le fronde delle mie piante ti riparino?
SOCRATE: Non per farti un onore vengo qui, dato che so che uomini ben più illustri di me visitano il tuo vivaio, coi quali non posso gareggiare. Sono contento che tu mi faccia entrare, come gli altri clienti, in modo che parliamo di un problema che mi è capitato.
VIVAISTA: Un problema?
SOCRATE: Sì. Conosci il mio servo?
VIVAISTA: Certo. Proprio ieri venne da me.
SOCRATE: E che ti disse?
VIVAISTA: Che voleva un oleandro, che adornasse il tuo giardino.
SOCRATE: Infatti. Così gli ordinai, perché, come ricordi, già una volta comprai un oleandro da te.
VIVAISTA: Mi ricordo, Socrate.
SOCRATE: Fu l’anno scorso. Il servo interrò la pianta a marzo, e fiorì subito, e non ebbe né muffe, né afidi, né alcuna di quelle malattie ripugnanti che spesso colpiscono queste piante; e fece invece fiori grandi e innumerevoli, come se l’avessimo piantata in un luogo sacro agli dei, mentre, come dico, è del mio giardino che parlo. Per questo mandai il servo, perché acquistasse un secondo oleandro da te, pensando che non fossero gli dei, ma la tua arte di vivaista a produrre piante così sane.
VIVAISTA: Così mi riferì, Socrate, e mi chiese un secondo oleandro, che facesse compagnia al primo, così riuscito, e completasse quell’angolo del tuo giardino.
SOCRATE: Un oleandro ti chiese, dico bene?
VIVAISTA: Sì, Socrate.
SOCRATE: E tu che facesti?
VIVAISTA: Presi un oleandro e glielo consegnai, perché tornasse presto da te con la pianta.
SOCRATE: Ahimé, vedo allora che feci bene a venire, visitandoti come fosti un oracolo cui si chiede di sciogliere qualche enigma, per sapere da te stesso come si svolsero le cose.
VIVAISTA: Le cose?
SOCRATE: Sì.
VIVAISTA: Quali cose, Socrate? Non tenermi in ansia, come quei cantori che, quando raccontano una storia, avvincono il pubblico non con la dolcezza della parole, o l’ingegnosità dell’intreccio, ma dando a intendere che c’è un segreto che non possono ancora dire, così che tutti li stanno ad ascoltare fino alla fine non perché si siano appassionati alla storia, ma per curiosità.
SOCRATE: Cantori cattivi, quelli, caro vivaista.
VIVAISTA: Assolutamente, Socrate.
SOCRATE: Per non volerli imitare, ti dirò subito qual è il problema: che il servo, ieri, non tornò con nessun oleandro.
VIVAISTA: Nessun oleandro?
SOCRATE: Nessuno, e per quanto abbia sempre reputato quel servo intelligente da quando ebbe a risolvere un problema di geometria con l’aiuto di pochi consigli, come avrebbe fatto un giovane educato, ieri mi disse una sciocchezza: che, dopo averti pagato il prezzo di un oleandro, tu gli avresti consegnato un piccolo seme, di quelli che fai seccare in inverno per poi piantarli in primavera.
VIVAISTA: Così ti disse?
SOCRATE: Proprio così.
VIVAISTA: E tu lo rimproverasti?
SOCRATE: Non gli credetti ma, per non fare nulla che potesse rivelarsi un’ingiustizia qualora avesse detto il vero, mi risolsi di non punirlo prima di avere parlato con te, come ora ho fatto.
VIVAISTA: Bene facesti a parlare con me, e a non punirlo, Socrate.
SOCRATE: Come dici?
VIVAISTA: Perché altrimenti grave, e odiosa agli dei, sarebbe stata l’ingiustizia che avresti commesso.
SOCRATE: Come può essere?
(1. Continua)
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