Ci sono alcuni fatti.
Le donne fanno meno carriera degli uomini: ai vertici delle aziende e nelle professioni più pagate ce ne sono poche.
All'uscita dalle scuole o dall'università, le donne hanno in media una formazione almeno pari a quella maschile.
Nessuna ricerca scientifica ha mai trovato che le donne siano meno intelligenti degli uomini (anche se, secondo qualche studio, ci sono piccole differenze nel tipo di abilità).
Come si conciliano questi fatti fra loro?
Due economiste americane, Muriel Niederle dell'Università di Stanford e Lise Verstelund dell'Università di Pittsburgh, hanno fatto un esperimento per verificare una teoria abbastanza popolare: quella che alle donne non piaccia competere.
All'esperimento hanno partecipato ottanta volontari. Le due economiste li hanno divisi in gruppi di quattro, in modo che ogni gruppo contenesse due donne e due uomini. L'esperimento consisteva in un gioco diviso in turni.
Turno 1: ciascun membro del gruppo riceveva una lista di problemi aritmetici da risolvere in cinque minuti; alla fine ogni membro guadagnava 50 centesimi per ogni risposta esatta.
Turno 2: di nuovo, ciascun membro riceveva una lista di problemi da risolvere; però in questo caso il premio andava solo al migliore: chi, nel gruppo, avesse risolto più problemi avrebbe guadagnato 2$ per ogni risposta esatta, mentre i tre membri restanti non avrebbero ricevuto nulla.
Turno 3: di nuovo, occorreva risolvere una lista di problemi arimetici, ma ai membri era chiesto di scegliere se giocare come nel turno 1 (50 centesimi per ogni risposta esatta) oppure come nel turno 2 (2$ a risposta esatta solo se vincenti).
Risultato: al turno 3 solo il 35% delle donne ha scelto di giocare come nel turno 2, contro il 75% degli uomini.
Nonostante sia il turno 1 sia il turno 2 siano competitivi, nel turno 2 la competizione è più aggressiva. Nel turno 1 emerge il giocatore più bravo, però tutti possono guadagnare. E' un gioco che assomiglia agli esami universitari, dove se prendi 30 non impedisci ai compagni di fare altrettanto. Nel turno 2, invece, il giocatore tenta di accaparrarsi una posta a scapito dei rivali. Mostrando che le donne gradiscono questo gioco meno che gli uomini, l'esperimento sembra implicare che in effetti le donne amino poco competere.
Nel loro studio, le due economiste spiegano che il risultato non dipende da possibili differenze nelle abilità matematiche: in entrambi i turni, le donne si sono rivelate altrettanto brave degli uomini. Quindi, non avevano motivo di ripiegare sulla modalità di gioco più "sicura". Inoltre, le economiste dimostrano che la differenza fra donne e uomini rimane significativa anche se si tiene conto del grado di ottimismo o di propensione al rischio (entrambi paiono superiori negli uomini).
Le due economiste suggeriscono che la ritrosia delle donne a competere possa danneggiarle nella carriera. L'idea è che la carriera richieda di sottoporsi di continuo a giochi del tipo del turno 2, dove uno solo, o pochissimi, avranno successo e andranno avanti. Se le donne si ritraggono, è improbabile siano fra questi.
Opinione personale: ho sempre avuto l'impressione che, sì, gli uomini abbiano un certo gusto della sfida, o del lottare per il solo gusto di farlo, che alle donne manca.
Ma non sono certa che la carriera si basi su giochi del genere del turno 2. Nell'esperimento, il punteggio era preciso: numero di risposte esatte. Nel lavoro, le prestazioni delle persone non sono così oggettive. E i risultati spesso dipendono dal lavoro complessivo di un gruppo. Come si stabilisce chi ha maggior merito? La carriera, tranne che nel settore pubblico, non procede per concorsi. E, fra l'altro, dove ci sono i concorsi, le donne non paiono meno agguerrite degli uomini (pensate ai posti di ruolo nella scuola).
Inoltre, può accadere che un capo, nel decidere chi promuovere, abbia in mente una certa immagine ideale di persona "giusta". E che, in prima istanza, questa immagine ideale non porti la gonna. Ora, se in una gara dei cento metri ti fanno partire cinque metri dietro ai rivali, e sai che loro sono veloci quanto te, la voglia di gareggiare non ti viene tanto. O tende a passarti dopo che, avendoci provato cinque volte, ti accorgi che perdi sempre. A quel punto, che vengano a dirti che, fin dal principio, la tua voglia di competere non era come quella degli uomini suona come una presa in giro.
Chiaramente, questo non toglie che, a parità di condizioni, le donne farebbero bene ad essere più aggressive.
8 commenti:
Mi sembrano osservazioni molto corrette e pertinenti. Tuttavia, ho la sensazione, basata sulla mia esperienza di lavoro, che in molti casi le donne rispetto agli uomini si aspettino proprio cose diverse.
Mi spiego. Io lavoro in un'azienda in cui la qualità della vita dei dipendenti è molto alta. Si lavora, oggettivamente, poco (salvo che in certi uffici). L'ambiente è tranquillo. I capi sono persone bonarie, sensate, ragionevoli (tranne qualche pazzo isolato). E' praticamente impossibile esser licenziati: se proprio stai tutto il giorno a non far niente, al massimo ti tolgono la 16ma mensilità (che non è una mensilità vera, ma un premio di produzione). Il precariato, qui, non esiste. I rimborsi spese (per viaggi, straordinari etc.) sono generosi. L'atteggiamento della dirigenza è cortese, paternalistico. Ognuno bada a fare il suo lavoro, poi esce, se ne va per i fatti suoi: l'azienda non ci chiede di essere "motivati", di "condividere obiettivi", di "manifestare entusiasmo". Ebbene: io lo trovo un ambiente idilliaco (e non sono il solo). Eppure recentemente, su tre colleghe neo-assunte (di cui una nella sezione di cui sono responsabile), tutte e tre io le ho sentite lamentarsi dell'ambiente: "non esiste meritocrazia", "l'ambiente non è dinamico", "non c'è socialità", "qui si fa carriera solo se sei sindacalista, iscritta a un certo partito o vai a letto coi capi", "le procedure sono rigide", "se una ha una buona idea non gliene frega niente a nessuno", "se vieni al lavoro in jeans e non in tailleur qui ti guardano come fossi una zoccola". Per carità: sono tutte cose abbastanza vere. Le procedure sono rigide, l'azienda è conservatrice, la socialità è zero, la meritocrazia inesistente, etc. Ma mi pare il caso di aggiungere che da noi l'alta qualità della vita dipende proprio dal fatto che le procedure sono rigide (e quindi non c'è competizione per produrre innovazioni), l'azienda è conservatrice (e quindi non vede di buon occhio il rampantismo et similia), la socialità è zero (e quindi l'azienda non ci chiede di essere "motivati", di "condividere obiettivi", di "manifestare entusiasmo"), la meritocrazia è inesistente (e dunque nessuno si ammazza più di tanto a lavorare). Ora, io non ho mai sentito nessun uomo, qui, lamentarsi di queste cose. Non sarà, ripeto, che nel contesto lavorativo uomini e donne esprimono visioni, concezioni, e mentalità profondamente differenti?
Davide, difficile rispondere, almeno sulla base delle mie esperienze lavorative (che sono il contrario esatto delle tue). Direi però che, ad occhio e croce, le tre neo-assunte esprimono, più che una cultura femminile, una cultura della lagna (con cui non ci si rende graditi a nessuno). E, per prevenire facili battute di qualcuno, no, la cultura della lagna non è parte di quella femminile.
Boh, io non me ne intendo. Solo non capisco come si possa mettere in palio sette dollari e credere di aver estrapolato conclusioni generalmente valide. Dev'essere colpa della mia mancanza di conoscenze in materia.
Ciao.
Naurus, sono perplessa anch'io, però non è questione di sette o settecento dollari. E' chiaro che gli esperimenti andrebbero ripetuti e validati in altri contesti, tuttavia ti possono dire solo quello che la gente fa in quella specifica situazione sperimentale. Le ulteriori conclusioni sono, come dici tu, estrapolazioni, ma non è detto in linea di principio che siano estrapolazioni sbagliate.
Davide l. Malesi, dov'è che lavori?
Assumono?
Quali profili?
C'è ostracismo verso le tazze da tè personalizzate con rfrasi sarcastiche di moana pozzi piazzate sulla eventuale scrivania?
loforestieroprolisso, lavoro per una delle maggiori compagnie italiane di assicurazioni. Quanto ad assumere, sì, assumono (anche se le raccomandazioni di alti papaveri dell'azienda, nonché politiche e sindacali, hanno un certo peso). Quanto al'ostracismo verso le tazze da tè personalizzate con frasi sarcastiche di moana pozzi piazzate sulla scrivania, non saprei dirti. Credo dipenda dal funzionario responsabile dell'ufficio in cui uno si trova: comunque, l'ambiente è abbastanza formale.
Mi sembra la scoperta dell'acqua calda.
Basta aprire un libro di psicologia Evoluzionistica, come questo:
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..e si scopre che dagli anni '80 si è capito che le donne sono più cooperative tra loro a causa del periodo di gestazione e svezzamento, in cui sono alla mercé delle altre donne. Tale dipendenza dal network femminile per svariati mesi gli uomini non ce l'hanno e quindi possono permettersi di essere più competitivi e non guardare in faccia nessuno. Le donne lo pagherebbero caro. Questo modello (matematico) ha spiegato tra l'altro anche perché le donne tendono ad offendere solo con insulti indiretti (ironia) mai direttamente, e il famoso paradosso di Ford, ovvero il fatto che le donne ammettono i loro errori in fabbrica (sul lavoro in genere) mentre gli uomini no, negando fino alla fine.
Insomma, Darwin is your friend come al solito...
Mi sembra però che tu prenda per oro colato la psicologia evoluzionista. Il problema delle storielle sulle madri, come quelle sulla coda dei pavoni e simili, è che sono solo spiegazioni. Si adattano ai dati, ma non ammettono controprove: quindi, non valgono di più di qualsiasi altra spiegazione alternativa. Che la psicologia evoluzionista non sia una scienza non è un'idea mia, ma degli stessi evoluzionisti (o di molti, almeno). Vedi per esempio cosa ne dice Massimo Pigliucci.
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