20 dicembre 2005

La nostra credibilità all'estero

Conclusa la vicenda Fazio, John Hey, professore di Economia e Statistica all’Università di York e ordinario alla LUISS di Roma, svela al mondo un’altra anomalia italiana: gli esami universitari.

“Lo scopo di questa pagina è di attirare l’attenzione sulle grandi differenze nel numero degli esami nei vari paesi del mondo, con lo scopo particolare di mostrare che l’Italia è un’eccezione. Voglio anche attirare l’attenzione di una procedura burocratica chiamata verbalizzazione, che non penso esista in nessun paese del mondo che non sia l’Italia […].

Ecco un riassunto approssimativo del numero di esami nei vari paesi del mondo […].

  • UN esame per insegnamento ogni anno senza diritto di rifarlo: Canada, Stati Uniti
  • UN esame per insegnamento all’anno con la possibilità di rifarlo una volta: Danimarca, Francia, Germania, Messico, Svizzera, Regno Unito
  • UN esame per insegnamento all’anno con la possibilità di rifarlo due volte: Austria, Olanda.
  • (Fino a) DIECI esami per insegnamento all’anno col diritto di rifarli quante volte desideri: Italia”

Ciò suggerisce una soluzione facile a una vecchia lamentela degli studenti: quella che l’università si riduce a un “esamificio”. Via Crooked Timber.

14 commenti:

Anonimo ha detto...

usa e canada li lascerei stare visto che i loro esami sono a crocette.. per la mia esperienza posso dire che i 10 (io 20) esami all'anno servono, non si può fare un corso di.. filosofia dando un solo esame di filosofia.. si rischia di produrre robot che sanno solo quello in un grande minestrone.. e non sanno niente del resto..

Anonimo ha detto...

Ah, ma forse c'è un equivoco: qui Hay con "corso" (course) intende INSEGNAMENTO. Correggo per evitare problemi.

Anonimo ha detto...

Posso parlare per la Francia poichè ho studiato lì un anno: gli esami (e i relativi insegnamenti) sono decisamente più semplici dei nostri, non hanno nemmeno un decimo del nostro materiale da studiare e gli esami li passano quasi tutti perchè sono veramente semplici; chi viene segato all'esame lo può rifare a settembre (come i vecchi esami di riparazione) e viene quasi sicuramente promosso. In sostanza l'università francese poco si discosta da un liceo. Se non sbaglio solo il 5% degli iscritti ad un dato anno non riesce a passare al secondo...esistono poi altre regole su cui non mi dilungo. Morale: si laureano cani e porci e chi prende solamente la "maitrise" (la laurea) ne sa meno di un qualunque studente da noi. Chi continua invece (dottorati e simili) è molto preparato.

Sally

http://SallyAlbright.splinder.com

Anonimo ha detto...

Delio, io sono d'accordo che le capacità orali siano importanti e che, in generale, gli esami italiani siano almeno altrettanto formativi di quelli fatti all'estero. Il punto anomalo, secondo me, è la facoltà concessa allo studente italiano di ripetere l'esame ad libitum, in molte date, e anche se prende un voto sufficiente. Questo comporta per molti docenti la necessità di fare una quantità sproporzianata di esami rispetto ai loro colleghi stranieri. Io penso che gli studenti italiani imparerebbero di più non rifacendo tre volte l'esame, ma potendo ascoltare a lezione docenti in gamba che hanno il tempo di preparare il corso.
Sally, sì, risulta anche a me. Il primo livello italiano (il triennale del post riforma, che è poi è quasi ovunque un quadriennale compresso) è molto più serio e impegnativo del livello corrispondente straniero (bachelor e simili). Poi il livello graduate è tutta un'altra faccenda. Ma, come dicevo a Delio, intendevo criticare la faccenda specifica della ripetibilità degli esami, non l'università italiana in genere. Avessi un figlio, il triennio glielo farei fare senz'altro qui da noi.

Anonimo ha detto...

Aspetta però c'è un punto. Parlo del vecchio ordinamento (non conosco il nuovo). In teoria se tu venivi bocciato la cosa doveva essere segnata sul libretto: quindi faceva media. Negli anni 70 però la bocciatura *a statino* però cadde in disuso. Quindi potevi si ripetere un esame, ma cmq faceva media.

Anonimo ha detto...

No, quello non si fa più. La prassi è che lo studente, se rifiuta il voto, se ne va via indenne. Anche se non posso escludere che qualche università abbia politiche diverse.

Anonimo ha detto...

Alla Sapienza, facoltà di Fisica, fino a 3 anni fa si poteva fare l'esame una volta per appello ufficiale. Vale a dire giugno, settembre o febbraio.
Considerando che a Fisica per il vecchio ordinamento gli esami erano 'solo' 18, la politica mi sembrava molto equilibrata, difatti uscendo da quell'università ti si aprivano facilmente mille porte all'estero. Le cose sono cambiate anche lì, ora, perchè un sistema del genere era molto molto selettivo. Il che significa che pur sfornando buoni fisici, i docenti hanno visto diminuire di anno in anno le iscrizioni, e hanno dovuto seguire un metodo di istruzione più blando e meno selettivo, che parte proprio dalla possibilità di poter ripetere gli esami ad libitum...

Anonimo ha detto...

Bianca, non mi dai buone notizie... :-(

Anonimo ha detto...

Però sono ottimista, Angelita. Sarà che immagino l'auto-organizzazione delle reti (comunicative, sociali, industriali, etc.), un'attuale teoria di successo della meccanica statistica, che prevede che in molti meccanismi ci sia una sorta di autocontrollo, autorecupero. Il sistema industria-ricerca-innovazione sta vivendo nel nostro Paese una crisi così profonda che non è possibile continui senza alcun argine. E' lì la chiave del progresso, del benessere economico, di un migliore equilibrio ridistributore delle ricchezze.
La primavera non tarderà ad arrivare...
:-)

Anonimo ha detto...

Sono d'accordissimo sull'importanza della scienza e dell'innovazione, un po' meno sull'esistenza dei meccanismi di recupero nell'università... Ma, visto che siamo in periodo di feste, mi unisco all'ottimismo e faccio anch'io un auspicio per l'anno nuovo, che porti un po' di auto-organizzazione a tutti... :-)

Anonimo ha detto...

Fino a qualche anno fa a Padova (ingegneria) la norma era che si potesse sostenere l'esame al massimo tre volte all'anno, cioè una per sessione. Alcuni esami avevano vincoli leggermente diversi, in senso più o meno restrittivo.

Anonimo ha detto...

Paolo, in effetti credo che ci sia una certa differenza fra facoltà scientifiche (che tendono ad avere meno esami) e umanistiche (che tendono ad averne di più).

Anonimo ha detto...

Sì, però confronti i casi medi degli altri paesi con il caso peggiore italiano. Anche se forse all'estero i docenti non hanno tutta questa discrezionalità, e il caso medio corrisponde ad una norma (non lo so, chiedo).

Ricordo che il docente di elettronica digitale impostò il corso "all'americana" (microchip, m'hai provocato...): il testo (pubblicato negli USA) non presentava esercizi svolti, né circolavano eserciziari o raccolte di temi d'esame. Così si studiava il contenuto del corso, e non "come passare l'esame".
Se poi si ha il limite di un solo appello allora si studia eccome, poco importa se l'esame è "a crocette".

Anonimo ha detto...

Beh, no. Prima di "DIECI", c'è un importante "fino a" tra parentesi. Comunque poi sposo la tua conclusione (che l'appello unico costringe a studiare seriamente e, aggiungo io, a prendersi le proprie responsabilità).