Alcuni dicono senza remore che si asterranno dal referendum per strategia (“il modo più efficace di salvaguardare la legge”). Altri, ansiosi di sentirsi morali in ogni circostanza, dicono che si asterranno perché è un referendum cattivo.
Non parlo dello slogan bizzarro “sulla vita non si vota” (che, a prenderlo alla lettera, richiederebbe di abrogare la legge 40, che nasce col peccato originale di essere stata votata), ma dell’argomento che la materia sarebbe troppo complessa perché gli elettori possano giudicare. O, come diceva Domenico Fisichella su Repubblica di oggi, che c’è il rischio che “prevalga il momento emotivo e passionale sulla riflessione razionale”.
Non dubito che molti cittadini non conoscono abbastanza la biologia dello sviluppo o le tecniche della fecondazione per comprendere i dettagli della legge. Immagino che la grandissima maggioranza di loro non l’abbia neppure letta.
Ma, in democrazia, i cittadini ignoranti sono una cosa normale. La democrazia si differenzia dalle tecnocrazie o dai “governi dei migliori” proprio perché ammette al voto i cittadini senza chiedere loro di dimostrare ciò che sanno. In una democrazia, qualunque voto popolare si svolge nell’ignoranza quasi universale delle materie in gioco. Alle elezioni politiche, quanti cittadini hanno la cultura economica indispensabile per capire quale programma di partito avrà gli effetti migliori sull’occupazione? O quella giuridica per comprendere le conseguenze che avrebbe una certa riforma della Stato? O la conoscenza degli affari internazionali per capire come comportarsi con la Cina? E quanti, nei collegi uninominali, votano per candidati di cui non sanno nulla se non che appartengono a un certo partito?
Non è che da una parte ci sono le scelte semplici, su cui i cittadini possono esprimersi, e dall’altra quelle complesse: le scelte pubbliche sono tutte complesse. Il fatto che nonostante l’ignoranza colossale degli elettori (cioè, di tutti noi) le democrazie hanno risultati migliori dei governi dei pochi che le hanno precedute è un piccolo mistero: a quanto sembra, la democrazia non ha bisogno che gli elettori siano molto informati e razionali.
Se poi si volesse dire che, nel caso particolare, i quesiti del referendum vanno al di là di qualsiasi comprensione degli elettori, beh, non è vero. A ogni quesito corrisponde una questione di principio concretissima:
Quesito 1. Vi sta bene che si facciano ricerche che sfruttino gli embrioni esistenti che stanno nei frigoriferi?
Quesito 2. Vi sta bene che una donna sappia se un embrione è malato prima che le sia impiantato, e nel caso rifiuti l’impianto? E che sfruttino questa facoltà le coppie fertili ma che temono di trasmettere una malattia al figlio?
Quesito 3. Vi sta bene che l’embrione non sia messo alla pari di una persona adulta?
Quesito 4. Vi sta bene che una coppia usi il seme o l’ovulo di un donatore?
A me, su simili faccende, sembra di saperne di più che su quale partito votare.
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