18 aprile 2005

Recensioni: “La donna di Gilles”, di Frédéric Fonteyne

Cinema

Eliseo, sala Truffaut, a Milano. Siamo in due, biglietti con posti E5 ed E6. Arrivati in anticipo, entriamo nella sala quando è ancora vuota, a parte una coppia di anziani. Seduta nei posti E5 ed E6. “Sono i nostri posti”, dico agli anziani. La moglie guarda il marito. “Avete i 7 e 8?”, dice lui. “No”, dico io, “i 5 e 6”. Gli anziani borbottano e vanno a sedersi nei posti E8 ed E9, lasciando uno spazio fra loro e noi. Dopo dieci minuti, arrivano i titolari dei posti E8 ed E9. Vediamo la coppia alzarsi di nuovo, il marito che confabula con la moglie, i due che guardano i biglietti: “Sono G9 e G10”, dice lei. Poi raggiungono i loro posti, qualche fila più in basso, dove, a loro volta, fanno alzare una coppia di anziani.

Trama

Francia, anni trenta. Elisa è sposata con Gilles, operaio stupido e libidinoso, che lei ama. Mentre Elisa è incinta del terzo figlio, Gilles ha una tresca con Victorine, la giovane sorella di lei. Per non perdere Gilles, Elisa tenta di tollerare la sua relazione.

Cosa funziona

Emmanuelle Devos (Elisa). Bravissima. In primo piano per gran parte del film, con un personaggio che parla pochissimo, comunica tutto con gli occhi e la piega della bocca: dolore, gioia, paura, speranza e la fondamentale debolezza morale di una persona che china il capo e spera che tutto passi; che, troppo pavida per lottare contro il mondo, sceglie di lottare contro se stessa.

Clovis Cornillac (Gilles). Un ruolo più limitato dove, appunto, deve fare facce stupide o libidinose. Non voglio insultarlo dicendo che gli riescono benissimo.

Laura Smet (Victorine). Perfetta nel ruolo della giovane donna emozionata dal sentirsi desiderabile. La sua espressione nella scena della festa, quando torna a sedersi al tavolo ed è ancora eccitata dal ballo, è quella che ogni uomo sogna di vedere sul viso della sua donna.

La regia. Sempre al servizio della storia. Si prende una sola libertà, nella scena della soffitta, quando la cinepresa si rovescia e inquadra a testa in giù Elisa: un espediente riuscito per dirci quello che Elisa non ci direbbe mai, che il suo mondo ormai è perduto.

Cosa non funziona

La sceneggiatura. Manca di sviluppo drammatico. Si concentra sulle emozioni altalenanti di Elisa, nascondendo allo spettatore ogni altro fatto: non vediamo i fedifraghi da soli o qualunque evento di cui Elisa non sia spettatrice. Ciò stanca ben presto, perché Elisa è una donna troppo sprovveduta e languida, e non riusciamo a farci coinvolgere. Assistiamo alle vicende con distacco, non riusciamo a soffrire con lei, il finale tragico ci lascia indifferenti. Gli altri spettatori, pochi, non paiono partecipare di più.

Durata

Un’ora e quaranta. Ci si annoia nella seconda metà.

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