Sto leggendo I dieci comandamenti di uno scrittore, una raccolta di articoli di Stephen Vizinczey, l’autore ungherese (di lingua inglese) noto per Elogio delle donne mature. Nonostante il titolo (italiano), la raccolta parla poco di regole per scrivere e molto del ruolo della letteratura nella società e nella vita. Gli articoli sono tutti buonissimi: vivaci, ben scritti, ricchi di idee. Ho trovato inquietante “Il potere della critica” (pp. 154-165), dove Vizinczey scrive:
“L’immenso potere della critica – il suo potere di stabilire che cosa la maggior parte dei lettori leggerà, e di conseguenza quali scrittori vivranno bene e quali resteranno poveri, il suo potere di fare la differenza tra la vita e la morte di uno scrittore – non ha niente a che vedere con la qualità della critica, ma si basa sul fatto che i lettori per lo più odiano essere soli nelle proprie opinioni e nei propri giudizi. […] E’ molto più piacevole aver la sensazione di condividere le proprie opinioni con gli ‘esperti’, i recensori di giornali e riviste tenuti in gran considerazione.”
Potreste chiedervi se non sia la lagna di uno scrittore che si reputa poco considerato. Non lo è. Vizinczey spiega che dapprima i critici americani ignorarono Elogio delle donne mature, che infatti vendette pochissimo nella prima edizione. Poi tutto cambiò:
“Eppure pochi mesi dopo negli Stati Uniti il romanzo cominciò a vendere di nuovo e vendette più di un milione di copie in edizione tascabile. Che cosa era successo? Il romanzo non era stato migliorato, né il pubblico dei lettori poteva essere cambiato così in fretta. Nel frattempo, però, Elogio delle donne mature era stato pubblicato in Inghilterra, dove aveva ricevuto la benedizione di critici e scrittori […], e brani delle loro recensioni stampati sulla quarta di copertina del tascabile americano facevano sentire gli americani liberi di apprezzare il libro e parlarne”.
Vizinczey sottolinea che il potere della critica non nasce dall’ignoranza dei lettori, ma dal desiderio di una reputazione.
“L’influenza della critica letteraria varia da paese a paese, ma sembra che gli spiriti indipendenti che leggono un libro alla luce del proprio giudizio e non alla luce delle opinioni consolidate siano rari ovunque. E paradossalmente sono più rari tra i letterati. Il potere dei critici, basato sull’istinto del gregge, è più forte proprio sulle persone che si ritengono individualiste, la classe intellettuale. Il loro gusto per la letteratura e la loro abilità nel giudicarla sono una parte importante dell’immagine di se stessi, che è la fonte della loro autostima, e per questo motivo la loro paura di sbagliare, o che possa sembrare che sbaglino, li rende più bramosi di essere d’accordo con l’opinione dell’‘esperto’.”
L’articolo prosegue con aneddoti salaci sulla critica letteraria di New York e attacchi duri all’accademia (“gli assurdi libri di Derrida”). Alla fine parla anche dell’Italia.
“Ho a lungo creduto che l’America fosse una caso particolare, ma mi capitò di trovarmi in Italia quando uscì Il pendolo di Foucault di Umberto Eco. La sfacciata pubblicità travestita da critica letteraria sarebbe stata vergognosa a New York. Il successo artefatto di questo illeggibile romanzo mette insieme i deleteri effetti del denaro e l’insolenza accademica, che hanno illuso persone credule dando loro la convinzione che la letteratura è ciò che i professori sanno fare: menzionare fatti poco conosciuti, citare oscuri documenti, parlare a vanvera di tutto o niente, mescolare frasi incomprensibili con luoghi comuni.”
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