21 marzo 2005

Recensioni: “La schivata”, di Abdellatif Kechiche

Lydia

Cinema

President di Milano. Arrivati in anticipo, ci accomodiamo nel foyer, spazioso, elegante, tirato a lucido, con divanetti comodissimi e una luce soffusa che invita alla discrezione, e infatti chiacchieramo tutti sottovoce. Quando le maschere ci invitano a entrare in sala quasi ci dispiace.

Trama

Nei giardini delle periferie parigine un gruppo di adolescenti prova una commedia di Marivaux, da mettere in scena in una recita scolastica. Il gruppo esprime una società multirazziale riuscita: ci sono maghrebini, europei, asiatici, neri, ma, nelle amicizie o nei conflitti, la provenienza sembra non avere alcun peso. Krimo, un ragazzo maghrebino, si innamora di Lydia, la compagna di classe che interpreta la protagonista della commedia, e si fa dare una parte sperando di conquistarla.

Cosa funziona

Gli attori. Giovanissimi e non professionisti (tranne Sara Forestier, che interpreta Lydia, e Carole Franck, che interpreta l’insegnante), si dimostrano a loro agio davanti alla cinepresa. Sono tutti belli o, se non lo sono, hanno volti interessanti, ed è un piacere guardarli.

La recita finale. Dove vediamo bambini, adolescenti, adulti, anziani in una esperienza comunitaria felice dove tutti abbiamo sognato di trovarci. I giovani in scena, miracolosamente, sembrano avere a cuore l’opinione degli adulti che li osservano; questi ultimi, altrettanto miracolosamente, rinunciano a essere giudicanti. Lydia, recitando, fa emergere la donna che sta per diventare.

L’insegnante. Bravissima, dà vita a un modello ideale, quello dell’adulto che disciplina, corregge, critica gli allievi ma non uccide le loro passioni. A sua volta appassionata. Coi suoi consigli di recitazione, semplicissimi, insegna ai ragazzi (e a tutti noi) che l’espressione artistica accade all’interno di una tecnica.

La regia. Sceglie un taglio realistico e documentaristico, ed esegue bene. Molto efficaci le due sequenze violente (quella dell’aggressione all’amica di Lydia e quella dei poliziotti).

Cosa non funziona

I dialoghi fra i ragazzi. Noiosissimi. I personaggi ricorrono a tutto il campionario di insulti, esclamazioni, frasi fatte, commenti, volgarità, interruzioni a vicenda dei dialoghi reali degli adolescenti di tutto il mondo, col risultato che ci mettono dieci minuti per esprimere concetti come “lo sai che ho visto Krimo?”. Ci viene subito il sospetto atroce che il regista creda che non sappiamo come parlano gli adolescenti; io invece li vedo tutti i giorni a Milano, in strada o sui mezzi pubblici, e li trovo insopportabili: non per la volgarità, cazzo, ma per il poco che dicono con quel grande spreco di parole. Comunque, questi dialoghi hanno affascinato molti intellettuali francesi. Ciò ha aiutato il film a vincere il César e gli estimatori a guadagnarsi l’etichetta di intellos bobo gauche-caviar parisiens.

Il doppiaggio. Devastante. Negli ultimi tempi, avevo notato una tendenza dei doppiatori ad adottare cadenze che ricordassero la lingua originale del film; per esempio, i doppiatori dell’ultimo Almodovar usavano un lieve accento spagnolo, e quelli di Confidenze troppo intime un lieve accento francese. Invece, chi ha curato la versione italiana della Schivata ha scelto di rendere il verlan dei ragazzi parigini con il gergo giovanile romanesco; e romanesco è anche l’accento dei doppiatori. L’effetto è paragonabile al doppiaggio di My Fair Lady, dove Audrey Hepburn parlava con l’accento pugliese. C’erano alternative? Sì. Non per campanilismo, ma non sarebbe stato difficile combinare un gergo giovanilistico del Nord con cadenze francesi.

Krimo, l’innamorato. E’ un bel ragazzo, gli amici lo aiutano, riesce a trovarsi solo con Lydia più volte, lei è disponibile, lo aiuta, ma lui non combina nulla! E alla fine si sottrae quando lei viene a cercarlo sotto casa! Agli uomini in sala viene voglia di prenderlo a calci in culo, mentre le donne seguono col sorriso materno che riservano ai mollaccioni. In ogni caso, un personaggio poco credibile, e che aggiunge irritazione a quella che già viene dai dialoghi.

Durata

Due ore; senza dialoghi inutili non durerebbe più di trenta minuti.

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